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CORRIERE DELLA SERA
27/01/2007
LA DIAGNOSI DEL MAGISTRATO LA CURA DEL MINISTRO
di: VITTORIO GREVI

P receduta alcuni giorni fa dalle canoniche, ma non rituali, «comunicazioni alle Camere» da parte del Guardasigilli Mastella, la cerimonia d'inaugurazione dell'anno giudiziario si è svolta ieri presso la Corte di cassazione avendo al centro la relazione «sull'amministrazione della giustizia», affidata come già l'anno scorso (secondo quanto stabilito dalla legge di riforma del 2005) al primo presidente della medesima Corte. Poiché, tuttavia, quest'anno tale carica è vacante, la suddetta relazione è stata svolta dal presidente di sezione anziano Gaetano Nicastro.
Non si trattava di un compito facile, posto che negli ultimi mesi della passata legislatura il nostro «sistema giustizia» è stato solcato da una serie di modifiche legislative disorganiche e maldestre, che ne hanno alterato gli equilibri, senza nulla aggiungere alla funzionalità degli apparati giudiziari, e anzi per molti aspetti pregiudicando l'efficienza dei meccanismi processuali. L'eco degli effetti disastrosi riconducibili ad alcune di tali leggi (si pensi alla riforma dell'ordinamento giudiziario e, nel settore penale, soprattutto alla «legge ex Cirielli» e alla «legge Pecorella»), nonché delle polemiche che ne sono seguite, non poteva evidentemente mancare nella relazione del presidente Nicastro.
Come pure non poteva mancare l'eco delle preoccupazioni derivanti della difficoltà di intravedere una via d'uscita. Sia in rapporto all'esigenza di ricostruire un tessuto normativo talora lacerato da scelte politiche non conformi al quadro costituzionale (in particolare, nel settore dell'ordinamento giudiziario), sia in rapporto all'urgenza di rimediare al più presto ai guasti così determinatisi nel concreto svolgimento dei processi (si pensi, per esempio, al caos provocato nel sistema delle impugnazioni penali dalla «legge Pecorella», e oggi aggravato dalla recente, e pur doverosa, sentenza di incostituzionalità della medesima legge).
Di tutte queste preoccupazioni e difficoltà ci sono significative tracce nella relazione letta ieri da Nicastro, ma il tono è stato misurato - e quasi distaccato - tipico di chi sapeva bene come il suo compito istituzionale fosse quello di delineare un bilancio di ciò «che va» e di ciò «che non va» nell'amministrazione della giustizia, al più segnalando incongruenze legislative e disfunzioni organizzative. Non anche quello di trovare le soluzioni, che invece è compito del potere politico e nella specie del ministro della Giustizia, al quale spetta di intervenire proponendo nuove leggi (con il contributo, se del caso, dei «pareri» del Consiglio superiore della Magistratura, come ha ricordato il vice presidente Mancino), ovvero adottando adeguati provvedimenti amministrativi, anzitutto in materia di risorse umane e materiali.
In questa prospettiva, a parte qualche puntuale auspicio di politica legislativa mosso dall'indignazione (ad esempio per la permanenza negli uffici di pubblici dipendenti condannati per gravi reati, o per l'arbitraria pubblicazione di intercettazioni telefoniche ancora segrete), ovvero dalla pietà umana (ad esempio sul problema dell'interruzione del trattamento terapeutico nei malati terminali), la relazione del presidente Nicastro ha dato ampio spazio al nodo cruciale costituito dalla «non ragionevole» durata dei processi. E, al riguardo, è stata netta la sua adesione - come pure da parte del procuratore generale Delli Priscoli - rispetto alle proposte di accelerazione dei tempi processuali ormai più volte preannunciate dal ministro Mastella, e ribadite anche ieri. A cominciare dalla previsione di un'«udienza di programmazione» dei tempi del processo (civile e penale), nella quale tra l'altro si discutano e si definiscano tutte le questioni procedurali fino allora insorte, costringendo così le parti a «giocare a carte scoperte». Per questa via sarà forse ottimistico fissare, come vorrebbe Mastella, un termine massimo di 5 anni per la conclusione di ogni processo. Tuttavia la strada è quella giusta, nel senso di togliere spazio a qualunque tentazione di manovre dilatorie, salvo restando ovviamente il rispetto delle imprescindibili garanzie difensive delle parti.



INES TABUSSO