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LA STAMPA
12 gennaio 2006
Una catena di errori
di Lucia Annunziata

Giorni di dolore, questi, per chi vota Ds. E nemmeno la direzione di ieri, che ha formalizzato l’unità del partito, è in grado di lenire del tutto questo dolore.

Quello che ieri ha affrontato la sua classe dirigente è un Fassino diverso, un uomo spoglio della arroganza di cui tutti i leader politici di questo paese si ammantano non appena si sentono di successo. Il Piero Fassino che si è presentato all’appuntamento con i suoi votanti e militanti ha pronunciato infatti parole molto più serie di quelle che abbiamo fin qui ascoltato. Le più importanti delle quali non hanno a che fare con la reiterazione della assenza di «una questione morale» dentro i Ds - perché più o meno il gran corpo militante del partito non ha mai saputo, potuto o voluto mettere in discussione (fino a prova contraria) il comportamento dei suoi dirigenti.

Le sue parole più nuove riguardano la ammissione di responsabilità politica nell’aver portato il partito dritto dritto nella palude, o nella trappola, attuale. «Noi non eravamo a conoscenza di molte delle cose che sono emerse in queste settimane e tuttavia voglio offrire una riflessione onesta: anche non sapendo, dobbiamo chiederci per quale ragione si sia allentata, anche nelle nostre file, la capacità di prevenire tempestivamente comportamenti non coerenti con principi etici e rigore morale»; «Certamente - ha aggiunto - qualcosa non ha funzionato, o quanto meno c'è stato un offuscamento della irrinunciabilità di un rigore morale che deve ispirare ogni comportamento di chi ha responsabilità pubbliche o sociali».

Sono domande che vanno molto vicino al nodo del problema. Se è infatti sostenibile che il Giornale ha avviato con le intercettazioni una campagna strumentale, se appare dalle stesse dichiarazioni dei protagonisti che - come ha scritto pochi giorni fa Alfredo Reichlin, uno dei padri del partito attuale - alcuni poteri economici si stanno riorganizzando per entrare direttamente nella gestione del paese, niente di tutto questo spiega perché mai si siano fatte alleanze sbagliate prima, e ci si sia confessati all’oscuro dopo.

Ed è qui che c’è la vera responsabilità politica dei leaders dei Ds. Politica, non penale. Ma che non per questo un fallimento minore.

Una classe dirigente in una società moderna si misura dalla sua capacità di individuare progetti e uomini che guidino il paese, nel segno della innovazione e della trasparenza. E’ praticamente l’unico compito della politica: e proprio su questo unico terreno, dove si sono sempre presentati come i garanti degli interessi collettivi, i Ds sono venuti meno al loro ruolo. Come è stato possibile questo sbaglio, o abbaglio, dunque? Cosa «non ha funzionato» - come giustamente oggi si chiede Fassino - dentro il partito che ha impedito di cogliere la evoluzione della società ?

Le risposte possono essere tante - e molte sono state avanzate. Può essere il derivato di un riflesso di subalternità di valori (quella moderna voglia dei comunisti di essere come gli altri) o, viceversa, un riflesso di tradizione (quella sensazione di sempre dei comunisti di sentirsi accerchiati). Ma alla fine la spiegazione più semplice torna ad avere a che fare con la selezione della classe dirigente: così come si è sbagliato a selezionare quella fuori, lo stesso errore è stato fatto dentro il partito. In questo senso, va detto che non è solo su Fassino o D’Alema che cade oggi la responsabilità del tutto - c’è dietro una lunga catena di occhi girati dall’altra parte, o di passivi consensi, o di signorie semindipendenti. C’è un partito sminuzzato dalle correnti e dai compartimenti stagni, in cui si ha paura della discussione (dentro tutte le sue componenti) perché fa subito rima con scissione.

In fondo, e senza molto esagerare , si può dire che il fallimento attuale è figlio della errata soluzione data alle molte fratture e tensioni che hanno attraversato i Ds in questi ultimi anni. Fassino ieri ha dato prova della sua serietà riaprendo il tema di cosa è diventata la sua organizzazione. Ma perché questa riapertura non sia solo un’altra riconciliazione di maniera, sotto la pura spinta dell’autoconservazione elettorale, bisogna che venga proseguita e che, soprattutto, si traduca in decisioni.

Qualcosa deve cambiare nel partito: una decisione immediata su nuove forme di organizzazione e un rinnovamento interno devono essere il prodotto finale della ammissione di errori. Così come rinnovato deve essere il Parlamento, con una scelta di candidature che non siano il risultato del solito bilancino fra poteri locali , o del solito Cencelli ulivesco.

Solo gesti concreti di riforme possono infatti oggi seriamente recuperare l’adesione generosa e senza dubbi su cui questo partito ha sempre potuto contare.
INES TABUSSO