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la Repubblica
1 settembre 2005
LA LUCCIOLA DI PASOLINI
FRANCESCO MERLO


PER Antonio Fazio, che è forse l´ultima lucciola di Pasolini, è il residuo
premoderno del mondo di Olmi, quello contadino della montagna abruzzese,
sarebbe assurdo, ingiusto e persino inutile dare le dimissioni, che per noi
sarebbero invece il gesto di grandezza del funzionario moderno, l´ultimo
ossequio del laico per salvare il profilo dell´Istituzione dalla propria
inadeguatezza, non importa se consapevole; l´estremo atto di decenza e di
eleganza. Ma nel codice schietto e rude del montanaro cattolico Fazio la
soluzione elegante è un lusso impraticabile, una sorta di cicisbeismo, un
atto inessenziale, un tradimento a San Tommaso e al luogo natio, ai pomodori
dell´orto e alla penna che sempre gli sbuca fuori dal taschino, agli spaghetti
marsicani e alla casetta di pietra dove è cresciuto, da figlio di contadino,
e a quell´altra casetta gemella dove è cresciuta lei, Maria Cristina, figlia
del falegname di Alvito.
L´eleganza delle dimissioni sarebbe una traccia della perdizione e perciò
una definitiva ammissione di colpa per un banchiere che nell´ideale carta
d´identità non ha scritto "banchiere" ma "devoto", che tratta il danaro con
categorie religiose, danaro che per noi è maltrattato, mentre per lui, iperreligioso
nel regno di mammona, è tenuto a freno, è pensato come una tentazione, è
fronteggiato.
Fazio infatti rimane lì, come il Lancillotto del cattolicesimo, della famiglia,
della moglie, del sacramento, come il Sant´Antonio di Flaubert che raccoglieva
la sfida del diavolo con la spavalderia del santo.
Dunque Fazio non darà le dimissioni finché non sarà formalmente costretto.
E più gliele chiederanno e più si intestardirà nel suo arroccamento lucciolesco
che farebbe simpatia a Pasolini. Le dimissioni ci spiazzerebbero, ci arriverebbero
come uno schiaffo perché orgogliosamente rilancerebbero, come inattuale e
doloroso, quel suo universo che abbiamo sbeffeggiato, renderebbero monumentali
i valori che abbiamo denigrato come valori fuori tempo e fuori posto in Banca
d´Italia dove alle mogli dei funzionari, per antica tradizione, non è permesso
andare, neppure per le feste di pensionamento, neppure per la bicchierata
di fine anno.
Noi, che non siamo lucciole, pensiamo che mai i sentimenti primari dovrebbero
governare le istituzioni. Per una lucciola pasoliniana invece anche le istituzioni
più alte sono ancelle: della devozione maritale per la moglie meridionale
che in Italia è sempre una Santippe; del familismo debordante, iperattivo
e iperprotettivo verso i figli e gli amici dei figli che lo spinge a trafficare
con i telefonini "protetti" di Fiorani e a usare la porta di servizio, sentendosi
sempre perfettamente a posto con la coscienza come quando passeggia per le
strade di Alvito tenendo per mano, come fossero eternamente bambine, ora
l´una ora l´altra figlia, tutte adulte e tutte di nome "Maria": Anna Maria,
Maria Valeria, Maria Laura, Maria Eugenia. Eppure l´onomastica cristiana
è vastissima e fantasiosa. Davvero è come se un islamico chiamasse tutti
i figli Maometto, per onomastica votiva e devozionale.
Ci pare dunque normale che, a furia di sfidare il diavolo, una ragazza sensibile
finisca col pensare infernale questo mondo e col farsi suora, come sta appunto
accadendo alla penultima dei Fazio, e come, del resto, in Italia era già
accaduto, con simboli ben diversi, a tanti rampolli dei compagni comunisti
che, a furia di fare Resistenza, finirono o accanto o dentro le Br.
Naturalmente e con evidenza le dolci suore non possono essere confuse con
i fanatici, e noi non abbiamo alcuna ostilità preconcetta per chi sceglie
la vita dell´ascesi monacale, ma non ci sembra oltraggioso ritenere che la
vocazione di Maria Laura ancora più che di suo padre sia figlia di quei libri
che il padre, durante i viaggi di lavoro, leggeva in aereo e mostrava con
discrezione compiaciuta a noi cronisti. Ricordiamo, per esempio, che, in
volo verso Basilea, Fazio spulciava "La storia del monachesimo" mettendo
addirittura in imbarazzo una bravissima giornalista che, senza mai perderlo
di vista, leggeva "Petrolio" di Pasolini. «In che lettura è immersa, signora?».
E quella: «Petrolio». Subito Fazio cadde nell´equivoco: «Ah, brava!, legge
Petronio». E la cronista, con ironia: «Sì, Petronio l´arbitro».

In realtà neppure Petronio è lettura da tomista, però è meno eretico di Petrolio
e soprattutto è latino, o forse latinorum. Di Fazio si dice, come si diceva
già di Cuccia, che parla il latino, che conversa in latino con il tomista
padre Roberto Busa, e con il cardinale Georges Cottier, "capo" dei domenicani
e teologo della casa pontificia. Padre Busa, con l´appoggio attivo di Fazio,
ha informatizzato l´opera di San Tommaso, 9 milioni di parole in un dischetto
che Busa e Fazio hanno presentato al Santo Padre in una memorabile udienza
del marzo 2002, che è stata registrata e che la famiglia Fazio ogni tanto
rivede, nelle sere d´inverno. E padre Busa, sempre con la sponsorizzazione
di Fazio, ha pure brevettato un progetto di traduzione simultanea ragionata
del linguaggio teologico per evitare quell´automatismo che una volta, sotto
i loro esterrefatti occhi, partì dalla frase «lo spirito è forte, ma la carne
è debole», facendola diventare in russo «la vodka è buona, ma la bistecca
è avariata». Fazio, dopo gli studi di ragioneria, si è laureato in Economia
e dunque il latino è per lui una passione da autodidatta, una "rosa rosae"
da adulto, postlaurea e perciò, con tutto il rispetto, non si può dire che
il latino e san Tommaso siano il cacio sui suoi maccheroni. Ma forse sarebbe
ora che noi giornalisti prendessimo "multo cum grano salis" queste improvvise
passioni umanistiche, sempre accreditate e mai controllate, dei banchieri
italiani, da Mattioli sino a Fazio.
Abbiamo infatti il sospetto che sotto ci sia una voglia matta di creare il
fenomeno, di ingentilire l´anima dannata del danaro, della transazione finanziaria
e dell´investimento in borsa; la voglia di abbellire l´icona tradizionale,
tanto cattolica quanto brechtiana, del banchiere con la pancia, il sigaro
e la scopa per spazzare il mondo. Del resto anche gli improbabili libri dei
politici in Italia vengono recensiti e premiati quali capolavori di profondissima
cultura. Secondo noi, è come parlare di Moana Pozzi vergine o di Rasputin
gay. È come il "piano man" che noi giornalisti volevamo angelo della musica
e che invece non sa neppure strimpellare. Eppure tutti esaltano la bibliofilia
di Dell´Utri e la bibliografia di chiunque finisca in galera. Ma forse questo
abuso del mito di Robin Hood è solo il prezzo che il vizio paga alla virtù
o, al contrario, che la virtù paga al vizio.

Comunque sia, senza volere fare l´esame di latino a Fazio, questo suo celebrato
tomismo non può certamente essere specialistico perché comporterebbe una
dedizione esclusiva, fatta di seminari, laboratori, studenti, colleghi, polemiche,
didattica, cattedre e concorsi. Oppure avrebbe bisogno di una segregazione
chiostrale, di un impegno totale in evidente conflitto con la famiglia, con
la Banca d´Italia, con l´enorme mole di lavoro di un governatore centrale.
Il suo tomismo, dunque, per quanto approfondito, è certamente coltivato nei
tempi morti, come un "late comer" dell´economia, con affanno e strategie
di scorciatoia. Già il latino medievale è un valore da lucciola pasoliniana,
il ritorno a una realtà dissolta, ma è lucciola soprattutto l´idea che il
tomismo possa avere ragione del mondo moderno.
Ovviamente tra i valori primari di una lucciola pasoliniana che balugina
in banca c´è anche la raccomandazione coltivata con l´ingenuità rocciosa
dell´amicizia che, insieme all´affetto coniugale, è il valore che lo ha messo
nei guai, perché ha popolato di protagonisti estranei la Banca d´Italia,
cani in pasticceria, senza offesa per Geronzi, per Fiorani e per tutti gli
altri.
Ed è insensata l´idea che Fazio sia attaccato perché cattolico in un paese
che è popolato di cattolici, dal capo del governo a quello dell´opposizione,
dai magistrati ai giornalisti ai professori universitari, ai bancari, ai
banchieri e persino agli atei. Certo, il suo modo d´essere cattolico è da
lucciola, ma non perché va a messa tutti i giorni o perché legge i testi
sacri durante le funzioni nella chiesa del suo paese, o per i pellegrinaggi
a Santiago di Compostela o le visite con tutta la famiglia alla Sacra Sindone,
né perché sua figlia si fa suora. È lucciola perché è un cattolicesimo che
deborda e invade il suo mestiere, perché Fazio si comporta più da vescovo
che da bancario, e sono più numerose le sue "relazioni" tomistiche che le
sue "apparizioni" finanziarie.
In Banca d´Italia ci hanno raccontato che, nel gennaio del 2002, entrando
per la prima volta nell´ufficio di Fazio, il cardinale Re prese tra le mani
il viso di quell´uomo che non aveva mai incontrato ed esclamò: «Ecco il nostro
buon pastore». Il cardinale gli tributava un rispetto e un´amicizia come
fosse dinanzi a una Santità laureatasi dentro e contro lo sterco del diavolo.
Le Santità non si dimettono, il loro mandato è stare nella fossa dei leoni
faccia a faccia con Satana, sotto una pioggia di contumelie. Se si dimettesse
dicendo «tenetevi la Banca, io resto con i miei affetti, con mia moglie,
con i miei amici e con San Tommaso», perderebbe l´alone del gladiatore di
Dio, sarebbe costretto a scendere dalla croce, per spegnersi ad Alvito insieme
alle ultime lucciole di Pasolini.

INES TABUSSO