00 31/08/2005 00:44

VOGLIA DI BISCIONE (stralcio)
(Cristina Da Vena/Rocco Tanica)

Voglia di biscione,
lo canteranno in coro
i bambini del mondo!
Trullallà biscione,
noi ci mettiamo il solco
e lui il seme fecondo!
Baldo rettilone,
simpaticissimo,
sbarazzinissimo amicone!

Siamo piccoli ma in fondo al cuor
c'è un istinto come di elettor
che ci guida ad una nuova speranza
di agio
e di imprenditorialità



UN ARTICOLO DI OGGI DA "LIBERO" E UN PO' DI ARCHIVIO:

www.espressonline.it/eol/free/jsp/detail.jsp?m1s=null&m2s=a&idCategory=4791&idConten...

"Eravamo nel settembre 1993,
Berlusconi mi convocò nella
sua villa di Arcore e mi disse:
'Marcello, dobbiamo fare un
partito pronto a scendere in
campo alle prossime
elezioni...' Lui aveva provato
in tutti i modi a convincere
Segni e Martinazzoli per
costruire la nuova casa dei
moderati...'Vi metto a
disposizione le mie
televisioni', aveva detto. Tutto
inutile, e allora decise che il
partito dovevamo farlo noi. Poi
c'era l'aggressione delle
Procure e la situazione della
Fininvest con 5.000 miliardi di
debiti. Franco Tatò, che
all'epoca era l'amministratore
delegato del gruppo, non
vedeva vie d'uscita: 'Cavaliere
dobbiamo portare i libri in
tribunale'... I fatti poi, per
fortuna, ci hanno dato ragione
e oggi posso dire che senza
la decisione di scendere in
campo con un suo partito,
Berlusconi non avrebbe salvato
la pelle e sarebbe finito come
Angelo Rizzoli che, con
l'inchiesta della P2, andò in
carcere e perse l'azienda".
(Marcello Dell'Utri intervistato
da Antonio Galdo per il libro
"Saranno potenti?", Sperling &
Kupfer, 2003)





"Eh, Eh... La regola era questa (ndr.: in Publitalia). Quando si stipulava
un affare o un contratto, qualunque fosse l'esito della trattativa, qualunque
fosse lo stato dei rapporti con il cliente... Beh, bisogna andargli incontro
decisi, stringergli vigorosamente la mano, avvicinare il proprio volto al
suo a distanza quasi impercettibile, e ripetere convinto la fatidica frase:
'Lei si fida di me, vero?'".
Bel rischio. E se quello rispondeva 'No, non mi fido'?
"E' proprio questo il bello. Con quell'intensitá e quella distanza, nessuno
si sfilava, nessuno. Era una regola matematica, conquista della fiducia.
Publitalia aveva questo spirito dentro, che era travolgente".
(Marcello Dell'Utri, intervistato da Luca Telese, "Il Giornale", 16 dicembre
2004)



Senatore, perché si è buttato in questa avventura (ndr.: la consulenza artistica
per il teatro Lirico, a Milano)?
...
"Sono nella direzione artistica... Darò una mano per l'organizzazione...
Posso dare una mano per la filosofia del palinsesto...".
Dedicherà molto tempo a questa sua nuova attività?
"Tanto tempo. Così almeno mi diverto e mi appago dal punto di vista intellettuale
perché il teatro cura l'anima".
I privati risponderanno?
"Rispondono bene se le domande sono ben poste e arrivano da persone credibili.
Come in questo caso".
(Marcello Dell'Utri, Corriere della Sera, 25 maggio 2005)



Lei userá gli stessi metodi (di Publitalia ndr.) per scegliere i mille azzurri.
Già questo fatto di chiamarli «i mille». Cos'è una trovata di marketing?
"Quelli di Garibaldi erano i mille dell'unificazione, questi saranno i mille
della risurrezione".
Ma si fida ancora del suo fiuto?
"Abbastanza. Anche perchè nei colloqui la prima cosa che appuro è che abbiano
quel master".
Quale master?
"Il master del marciapiede. L?unico che mi convinca davvero..."
(Marcello Dell'Utri, intervistato da Luca Telese, "Il Giornale", 16 dicembre
2004)



Si dice che in Publitalia fosse faticoso entrare. Che fosse raro uscirne.
E... impossibile rientrare. E' vero?
"Eh sì, un po' è vero. Se uno se ne andava...".
E in Forza Italia?
"L'ingresso spero sia più facile. L'uscita dovrebbe essere ancora più rara".
Forza Italia è nata dallo stesso nocciolo duro di Publitalia.
"Sì, e ne sono fiero. Eravamo un po' come un corpo speciale, un po' avventuroso.
Più che monaci eravamo simili ai lagunari..."
(Marcello Dell'Utri, ibidem)



"Non volevo esporre Berlusconi ad attacchi politici. Ma ho anche sbagliato.
Adesso, lo scriva pure, ho deciso che vado avanti fottendomene di tutti quanti.
Da oggi sono in campo finchè... non mi mandano in galera".
(Marcello Dell'Utri, ibidem)



30/08/2005 - "LIBERO QUOTIDIANO", Pag. 5
IL MAESTRO DELL'UTRI PREPARA UNA SCUOLA PER I CANDIDATI AZZURRI
di: ELISA CALESSI
www.difesa.it/files/rassegnastampa/050830/8C5SZ.pdf


UN PO' SUL TIPO DI QUESTA?
www.ilcircologiovani.it/contributo.asp?id_contributo=30&id_tema=14&c...


23/06/2005 - "L' ESPRESSO", Pag. 69/70
L'EMINENZA AZZURRA
di: PETER GOMEZ
www.difesa.it/files/rassegnastampa/050618/7QVP1.pdf



Il Giornale
16 DICEMBRE 2004
LUCA TELESE da Roma

Dell'Utri, dalla condanna agli azzurri
E MARCELLO DISSE: "TORNO A FAR POLITICA A TEMPO PIENO, SONO SPARATO, DECISO,
ATTENDO LA CHIAMATA ALLE ARMI, SELEZIONO IO I MILLE DELLA RISURREZIONE, COME
HO FATTO A PUBLITALIA. SE QUALCUNO E' PREOCCUPATO DAL FATTO CHE IN FORZA
ITALIA TORNI UN MAFIOSO.... BEH, SI PREOCCUPI PURE".

Primo: non lascia, anzi raddoppia. Secondo: dopo la condanna non solo non
farà passi indietro, ma - se possibile - intende compierne dieci in avanti.
Terzo: in che direzione? Quella che porta alla cabina di regia di Forza Italia,
al controllo del partito, alla selezione dei mille azzurrini da mandare nei
collegi per la battaglia campale delle prossime elezioni. Marcello Dell?Utri
accoglie il cronista nel suo studio del Senato, gli spiega i suoi progetti
per il futuro, gli rivela persino qualcuno dei suoi «segreti» del passato.
Scherza sulla condanna: «Sarei contento se dopo il decreto salvaPreviti Arrivasse
anche quello salva Dell?Utri...». Poi tende un unico filo fra la sua esperienza
di selezionatore a Publitalia e nella prima ormai mitica fase costituente
di Forza Italia all?inizio degli anni novanta, e nell?ultima: quella di oggi,
con la discesa in campo di quelli che lui definisce «I mille della resurrerzione».
Senatore solito queste interviste riescono bene quando si aprono con un anedotto
sul passato del protagonista, illuminante anche sul presente. «Ah sì? Sono
tutt?orecchi». No, forse non mi sono spiegato. L?aneddoto me lo dovrebbe
raccontare lei... «Ah, io? E che le racconto?». Basterebbe aprire l?album
dei ricordi di Publitalia. «Ehèèèè....». Lei era a capo di una rete di venditori
devoti, ha fondato qualcosa che assomiglia a un ordine monastico... «D?accordo,
vediamo se questo le piace. Mi studiai un po? l?America, che da noi era considerata
una terra di folli o la patria elettiva del demonio. E importai nelle convention
di Publitalia molte novità. Penso agli eventi culturali, ai primi colloqui
con il guru al celebre teatrino del venditore....». Teatrino? Guru? (Sorride).
«Sì, lo chiamavamo così. Era una maestro che spiegava i trucchi essenziali
del mestiere e li illustrava ai nostri». Me ne rivela uno di questi trucchi?
«Ha presente quello della mano e la faccia? Straordinario». Come funzionava?
«Eh, Eh... La regola era questa. Quando si stipulava un affare o un contratto,
qualunque fosse l?esito della trattativa, qualunque fosse lo stato dei rapporti
con il cliente... Beh, bisogna andargli incontro decisi, strigergli vigorosamente
la mano, avvicinare il proprio volto al suo a distanza quasi impercettibile,
e ripetere convinto la fatidica frase: ?Lei si fida di me, vero??». Bel rischio.
E se quello rispondeva «No, non mi fido»? «E proprio questo il bello. Con
quell?intensità e quella distanza, nessuno si sfilava, nes-su-no. Era una
regola matematica, conquista della fiducia. Publitalia aveva questo spirito
dentro, che era travolgente». Li aveva selezionati tutti lei quei venditori?
«Provati, testati uno per uno, anche quelli che non avevo scelto direttamente
io». Lei userà gli stessi metodi per scegliere i mille azzurri. Già questo
fatto di chiamarli «i mille». Cos'è una trovata di marketing? «Quelli di
Garibaldi erano i mille dell?unificazione, questi saranno i mille della risurrezione».
Ma si fida ancora del suo fiuto? «Abbastanza. Anche perchè nei colloqui la
prima cosa che appuro è che abbiano quel master». Quale master? «Il master
del marciapiede. L?unico che mi convinca davvero. E poi devono avere una
dote». Facciamo degli esempi noti. Lei ha selzionato Giancarlo Gàlan. Sa
cosa dice lui, di lei? «L?ho seguito a Publitalia e mi sono arricchito, l?ho
seguito in Forza Italia e mi sono impoverito. Ora non mi frega più». (Ride)
«Ah, Ah, Ah.... Anche da questa battuta lei capisce subito la dote straordinaria
per cui bisognava prendere Giancarlo». Quale? «La sua carica di simpatia...
veneta, le pare poco? A Publitalia o a Forza Italia, una dote serve. Lui
l?ho pescato ad un master alla Bocconi». E la dote, chessò, di Enzo Ghigo?
«Ah, non ho dubbi. Meno dotato di simpatia. Ma straordinariamente serio».
E Miccichè? «Ah, Gianfranco... La creatività. La fantasia. Lo chiamai e gli
dissi: ?Lascia la banca?, vieni a Milano. Lui lo fece, esattamente come io
avevo fatto dopo la chiamata di Berlusconi». Simpatici, seri, creativi...
In una buona squadra serve anche un noioso? «No, guardi. La cosa più nefasta
in politica è la noia». La Dc un po? noiosa lo era... «No, era un partito
complesso. E? molto diverso. Quella della Dc era una noiosità... compensata»
I cavalieri di che portò a fondare Forza Italia erano 27. Molti sono stati
rigettati. Esito fisiologico o qualche errore? «Quelli che hanno preferito
non rischiare. Ma non sono stati più di tre. Pochissimi. Io, se uno ha delle
doti o un?attitudine, riesco a capirlo subito». Lei in questi minuti di intervista
ha già capito se io sarei stato selezionabile o meno? «Lei sì, poteva andare
per la faccia... tosta. Anche se forse avrebbe dovuto tagliarsi quel pizzetto,
I baffi poteva tenerli...». Già, a Berlusconi barba e baffi non sono mai
piaciuti, lei ha capito perchè? «Gli piacevano le facce pulite. Poi si è
fatto un po? più elastico, almeno su questo punto». Se non lo avesse incontrato
adesso avrebbe un bel barbone? «No, sarei tale e quale. Io Silvio ho avuto
la fortuna di incontrarlo all?università, capisce?». Si dice che in Publitalia
fosse faticoso entrare. Che fosse raro uscirne. E... impossibile rientrare.
E? vero? «Eh sì, un po? è vero. Se uno se ne andava...». E in Forza Italia?
«L?ingresso spero sia più facile. L?uscita dovrebbe essere ancora più rara».
Forza Italia è nata dallo stesso nocciolo duro di Publitalia. «Sì, e ne sono
fiero. Eravamo un po? come un corpo speciale, un po? avventuroso. Più che
monaci eravamo simili ai lagunari...». E lei era un sacerdote o un generale?

«Io? La mia guida, la nostra guida era Silvio Berlusconi. Io lavoravo, tutto
qui». Lei gli ha creduto anche su Forza Italia. Ormai è agli atti che non
erano d?accordo Costanzo, Letta e tutto lo stato maggiore di Mediaset...
«Sì, anche Confalonieri, se è per questo, tutti. Io sapevo semplicemente
che dopo una sua scelta, nessuno al mondo poteva fermarlo». E poi? Da dove
ha iniziato? «Mentre gli altri discutevano io lavoravo. Ma lei sta facendo
un?intervista o prepara un libro?». Ce n?è già così tanti. Anche se la maggior
parte sono parte di una storiografia antiberlusconiana... «Eh sì, tanti,
ma non quello giusto: per questo dicevo». Ma lei li legge? Ad esempio quello
appena uscito del suo collega senatore Dalla Chiesa? «Per carità! L?ultima
cosa che mi interessa è il libro di Dalla Chiesa. Se proprio devo, faccio
leggere a qualcuno, per approntare gli estremi delle querele. Sa cosa rispondeva
Sciascia a chi gli chiedeva pareri? Mi scusi, ma devo leggere ancora la Gerusalemme
liberata». Adesso poi, che ha donato persino la sua biblioteca... «A chi?».
Ma alla sua fondazione, non si ricorda? (Ride) «Ne sono presidente a vita
sennò...». Quindi il direttore del suo Domenicale, Angelo Crespi non potrà
fare nessun golpe?

«No, mi sono cautelato». Cosa deve saper fare, più di un?altra cosa, un politico?
«Conoscere il territorio». E poi? «Beh, avere una faccia che buca lo schermo».
Mi faccia l?esempio di uno che ce l?aveva e uno che non l?aveva... «No, per
carità...». Almeno quello che bucava! «Uno? Mario Valducci». Nel suo studio
qui al Senato, nei club del Circolo... ci sono già tanti ragazzi. Quanti
superebbero l?esame dei mille? «Quanti? Tutti. Questi sono i primi cento.
Forza Italia è già piena di giovani così». Vedo che Perlini, il suo segretario
ha dei capelli pericolosamente lunghi... «Chi, Patrizio? E? un superlaureato,
un ragazzo d?oro». D?accordo, e la sua dote? «Affidabile». E il suo «uomo-ombra»,
Nicola Formichella? «Preparato e competente». A Milano il capogruppo è un
altro dei suoi prediletti, Manfredi Palmeri... «Ah, beh, lui ha una dote
assoluta. E?... palermitano. Il che di questi tempi è un bene, ma come lei
sa, anche un rischio». Ecco che lei ritorna alla sentenza... «Ha presente
Agnese nei Promessi sposi? ?Si fa presto, noi poveri, a farci apparire birbanti?.
Bene, noi palermitani, per farci apparire mafiosi ci vuole ancora meno».
Ma lei sa che ha stupito persino il suo amico Contestabile dicendo che dopo
questa condanna vuole impegnarsi più di prima? «Io ho scelto di dare una
risposta politica. Adesso non mancherà un impegno del partito». Fino ad ora
era il contrario... «Non volevo esporre Berlusconi ad attacchi politici.
Ma ho anche sbagliato. Adesso, lo scriva pure, ho deciso che vado avanti
fottendomene di tutti quanti. Da oggi sono in campo finchè... non mi mandano
il galera». E? una prospettiva che la preoccupa, il carcere? «Non ci penso
nemmeno. Non mi spaventa nulla, sono sparato, deciso. Parteciperò a tutte
le riunioni, mi occuperò dei giovani, del partito, darò una mano...». Bondi
ha già detto che è contento. Ma gli altri? Non è che lei farà preoccupare
qualche coltivatore di orticelli? «Preoccupati da cosa? Dal fatto che a Forza
Italia arrivi un.... mafioso? Che si preoccupi pure. Io aspetto la chiamata
delle armi. Ma sono già tornato in campo. Le basta?». L?intervista è venuta
bene. «Ennò! se è venuta bene lo capisci solo quando la rileggi». Come direbbero
a Publitalia: Lei si fida di me?





CORRIERE DELLA SERA
25 gennaio, 2004

Dell' Utri: sul palco potevo esserci anch' io, ma mi hanno azzoppato

«Forse bisognerebbe ricordarsi di quelli che si sono persi per strada anche
per colpa nostra. Penso a Codignoni»
IL PERSONAGGIO / L' amarezza di un fondatore del partito: è stato importante
riproporre il discorso del ' 94, mi sono commosso
Maria Latella

ROMA - «E poi, magari, bisognerebbe ricordarsi di quelli che qui non ci sono,
oggi, di quelli che ci siamo persi per strada. Anche per colpa nostra». L'
ombra e i riflettori. Al centro della platea ci sono i ministri. Di lato,
dove le luci non arrivano, siede Marcello Dell' Utri. Appunto. Al centro,
ci sono i ministri del secondo governo Berlusconi e, di tanto in tanto, il
grande schermo li inquadra. Pisanu, Tremonti, in piedi e assai affabile,
Scajola in prima fila, Bonaiuti, la Prestigiacomo, Martino. Tutti appaiono
nel megaschermo, più di una volta, come Bondi, come Cicchitto. Di là, sulla
destra, sempre in prima fila ma non al centro della scena, gli altri, quelli
che dieci anni fa rappresentavano la falange di Publitalia e oggi sono presidenti
di Regione, come Enzo Ghigo. Fra loro, siede Marcello Dell' Utri. Se le cose
fossero andate in un altro modo, sembra meditare in questo momento, se solo
fossero andate diversamente, adesso non starebbe, nel cono d' ombra, forse
si troverebbe lì, al centro della platea o forse, chissà, sul palco. «Non
faccio il finto modesto. Sì, sarebbe stato giusto. Sul palco, questa mattina,
potevo esserci anch' io. E invece... Ma io sono stato azzoppato, ho l' handicap.
Magari correrò di più in futuro, chissà, quando l' handicap sarà stato rimosso».
Arriva poco prima delle 11, Marcello Dell' Utri, accompagnato da Lino Jannuzzi.
Il settore «pionieri», lato sinistro, si alza in piedi, tributando un piccolo
applauso. In piedi anche Roberto Formigoni, anche Gabriele Albertini. «Quelli
arrivati ieri sono in prima fila, quelli che c' erano dieci anni fa, no»,
nota con amarezza un reduce del ' 94. Passa il «governatore» del Veneto,
Giancarlo Galan, e ricorda: «Marcello non ha collaborato alla nascita di
Forza Italia. L' ha fatta». «Marcello», intanto, incassa applausi e strette
di mano senza cambiare espressione, e subito si immerge nella platea anonima.
Seduto e silenzioso. Il coro intona Fratelli d' Italia, gli altri son tutti
in piedi a cantare, Dell' Utri no. Il coro intona l' inno di Forza Italia:
altro silenzio mentre si sfoga l' inevitabile cantata collettiva. Lo schermo,
ora, trasmette il Silvio Berlusconi di dieci anni fa, quello del discorso
sul «nuovo miracolo italiano». «Rivedere uno per uno quelli della prima ora
che mi hanno dato la possibilità di vincere, è una grande emozione». La maschera
sfingea di Marcello Dell' Utri subisce impercettibili cedimenti. «Vorrei
citarli tutti. Ritenetevi tutti abbracciati». E' un' illusione ottica o sono
lacrime, quelle che luccicano dietro gli occhiali della Sfinge? «E' vero,
mi sono commosso - riconosce Dell' Utri -. Ma mi sono commosso di più a riascoltare
il discorso del ' 94. Per quanto mi riguarda, la riunione di oggi poteva
pure finire lì». Si capisce che «quel» discorso suscita nostalgia per l'
entusiasmo di dieci anni fa, per quella «chimica», come dicono gli spagnoli
alludendo all' impasto di sintonie che si crea negli stati nascenti e fortunati.
Appoggiato a una colonna, lo storico Piero Melograni medita: «Dieci anni
fa era un problema di speranza, oggi è un problema di bilanci». Su questo
terreno, Dell' Utri qualcosa da dire l' avrebbe: «Ci abbiamo messo l' anima,
dentro Forza Italia e, poi, rimesso la salute. L' Italia sta cambiando. Ma
non è già diversa. Il cambiamento ha tempi lunghi. Meglio così, non ci sono
sbalzi traumatici. Il percorso tranquillo dà più garanzie di una trasformazione
improvvisa. E, poi, i traumi sono costosi, vi si spendono anni, energie.
Saranno altri a godere i benefici del cambiamento. E mi dispiace, certo.
Ma è meglio di niente, no?». Adesso, sul palco, ci sono «i nostri ragazzi»,
come dirà Berlusconi. Leggono il credo laico, qualcuno, tra loro, sembra
un Dell' Utri universitario, c' è una ragazza molto boccoluta, la romana
Sbisà, che buca un sacco lo schermo. Il senatore Dell' Utri li guarda con
paterna partecipazione: «Alcuni vengono dai nostri circoli: sono un elemento
di fiducia nel futuro». Proprio come dice Simone Baldelli, il capo dei giovani
azzurri. Dato ai Baldelli quel che è dei Baldelli, Dell' Utri torna a pensare
agli altri: «Forse bisognerebbe ricordarsi di chi oggi non c' è, quelli che
si sono persi per strada, anche per colpa nostra. Abbiamo bloccato un processo
di crescita». Un nome, ecco, tiri fuori un nome, senatore Dell' Utri. Trascorrono
secondi pensosi. Previti? Alla fine, esce un sofferto soffio: «Era bravo
Codignoni, aveva passione. Poi ha preferito tornare a lavorare. Sì, certo,
la politica è roba complessa. Ma io, oggi, mi sarei ricordato anche di loro».
Chissà se il senatore condivide la pessimistica previsione di Confalonieri:
«Dopo Silvio, questo Paese sarà tutto un piazzale Loreto»... Non la condivide,
no. O meglio: forse. «Fedele ha ragione, ma io spero che piazzale Loreto
non ci sarà. Silvio lascerà tutto rassettato, tutto in ordine. E il fatto
che siamo ancora qua, nonostante tutto, è uno dei suoi miracoli».
Maria Latella




L'UNITA'
16 Giugno 2005
Il talent scout
Marco Travaglio

La Casa della Libertà Provvisoria (Cdlp) ha finalmente trovato il selezionatore
dei candidati per le prossime elezioni politiche. Si tratta di un infallibile
talent scout, uno che non sbaglia mai un colpo. Un certo Marcello Dell'Utri.
Nel 1974, per dire, un amico terrorizzato dai sequestri gli chiede una mano
per trovare uno stalliere, e lui gli porta in casa un boss mafioso, capo
dell' anonima sequestri. Nel '76 va a una cena di compleanno a Milano, poi
si scopre che il festeggiato è il capomafia di Catania. Nell'80 partecipa
a un matrimonio a Londra, poi si scopre che lo sposo è un narcotrafficante.
A San Silvestro del '98 va a trovare un tizio a Rimini, poi si scopre che
è un falso pentito della mafia. Un fiuto da rabdomante. Letto il suo curriculum
- impreziosito da due condanne in primo grado per mafia ed estorsione, una
definitiva per false fatture e frode fiscale, e vari processi in corso -
i maggiorenti della Cdlp non hanno avuto dubbi: i candidati li sceglie lui.
Non a caso si torna a parlare di un'amnistia che svuoti le carceri: per ampliare
il ventaglio dei concorrenti.
Siccome l'uomo è molto colto (anche sul fatto), l'hanno appena nominato direttore
artistico del teatro Lirico di Milano, convenzionato col Comune. E in effetti,
per raccontare certe panzane in tribunale, bisogna essere degli artisti.
Nella sua Biblioteca di Via Senato, intanto, proseguono frenetiche le attività
culturali: presto verrà data alle stampe una trentina di lettere inedite
di Tomasi di Lampedusa, recuperate da Dell'Utri nei ritagli di tempo fra
una condanna e l'altra. Il suo cenacolo è ormai noto su scala nazionale,
soprattutto in Sicilia: ne parlano persino due boss mafiosi del calibro di
Giuseppe Guttadauro e Salvatore Aragona, nei loro ameni conversari intercettati
dalla Procura di Palermo il 9 aprile 2001. Dice Aragona a Guttadauro, capoclan
di Brancaccio: "Lino Jannuzzi è in intimissimi rapporti con Dell'Utri...
Contrada ha presentato un libro... a Milano al circolo che è la sede culturale
e intellettuale di Dell'Utri in via Senato... una biblioteca famosa dove
ha tutti i suoi libri. Io sono stato invitato... mi arrivano sempre le cose...
Il segretario di Dell'Utri mi dice sempre: 'Quando lei vuole parlare con
Jannuzzi, io lo chiamo e le fisso un appuntamento'... Se gli devo dare delle
imbeccate? poi lui sa quel che deve fare...".
Chissà se, per le nuove candidature della Cdlp, Dell'Utri ha pensato anche
a loro. Per ora si conosce soltanto la nuova sede: lo storico palazzo rinascimentale
di Via Chiaravalle 7. Il talent scout lo sta acquistando da un suo vecchio
socio: il finanziere siciliano Filippo Alberto Rapisarda, già legato al sindaco
mafioso Ciancimino, già latitante in Venezuela presso il clan Cuntrera-Caruana.
Ora si dà il caso che Rapisarda sia pure testimone nel processo di Palermo
che in primo grado ha portato alla condanna di Dell'Utri a 9 anni per mafia.
Lì ha sostenuto che quando Marcello lavorava per lui, nel 1978, in via Chiaravalle
riceveva le visite di Stefano Bontate e di altri boss che gli portavano valigioni
di banconote da riciclare nella Fininvest. Dell'Utri l'ha denunciato per
calunnia, definendolo "delinquente abituale", ma non ha smentito le visite
dei boss: semplicemente ha sostenuto che non erano per lui, bensì per Rapisarda.
E proprio lì, in via Chiaravalle 7, il 14 febbraio 1980, Dell'Utri viene
intercettato dalla Criminalpol al telefono con Mangano. Il quale - un mese
prima di essere arrestato da Falcone - gli propone "il secondo affare per
il tuo cavallo". Evidentemente Dell'Utri aveva un tale fiuto per gli affari
da trasmetterlo anche al suo quadrupede. O forse, come rammentò Paolo Borsellino
nell'ultima intervista prima di morire, "questa tesi dei cavalli che vogliono
dire droga fu asseverata dalla nostra ordinanza istruttoria che poi fu accolta
al maxiprocesso, tant'è che Mangano fu condannato per traffico di droga a
13 anni di reclusione".
Sia come sia, è certo che via Chiaravalle 7 fosse un andirivieni di capimafia.
Ed è singolare che un senatore della Repubblica intenda ospitarvi il suo
nuovo partito. Ma è ancor più singolare che, alla vigilia del processo d'appello,
si rimetta in affari con un testimone dell'accusa. Peraltro, non è nemmeno
la prima volta. Nel 1994 sul palazzotto garriva al vento la bandiera azzurra,
perchè Rapisarda vi aveva fondato il primo club milanese di Forza Italia.
Le selezioni dei candidati, in un luogo così denso di storia, si annunciano
avvincenti. Sarà una specie di concorso, ovviamente esterno. Astenersi incensurati.
E quadrupedi.




CORRIERE DELLA SERA
29/3/2005
E IN CALABRIA FA CAMPAGNA PURE DELL?UTRI
GIAN ANTONIO STELLA

Il «portatore sano di cancro giudiziario» Marcello Dell'Utri, per usare le
parole con le quali lui stesso si definì un paio di anni fa, scende oggi
in Calabria con due obiettivi. Il primo: dare una mano agli amici di Forza
Italia alle prese con una campagna elettorale tutta in salita dopo la batosta
subita alle ultime Europee, quando il partito precipitò dal 26% del 2001
a un miserello 13%. Il secondo: dimostrare una volta di più che gli italiani
sono spaccati a metà. Se la metà di sinistra lo considera un pluricondannato
(una sentenza definitiva, due verdetti di primo grado) dal quale stare alla
larga perché vicino alla mafia, la metà di destra lo vede come si vede lui:
«un perseguitato». In grado, nella veste di vittima delle «toghe rosse»,
di guadagnare alla causa azzurra addirittura dei voti. Una sfida che riassume
un'epoca. Nei dintorni di Berlusconi, infatti, nessuno come Dell'Utri, forse
neppure quel Cesare Previti al quale Montanelli lombrosianamente rinfacciava
perfino di avere «una inquietante faccia da gerarca» e tantomeno i Bondi
e gli Schifani, è stato additato negli anni dall'opposizione come il simbolo
stesso del Male. La prova giudiziaria e documentale dei rapporti del Cavaliere
col mondo fetido delle cosche. L'appestato.
Intoccabile come i «dalit» per i bramini e gli altri indiani delle caste
superiori.
Certo, non tutti i bramini di sinistra lo vedono così. Emanuele Macaluso,
ad esempio, scrisse: "Io non so se tramite Dell'Utri le finanziarie di Berlusconi
riciclarono denaro della mafia. Può darsi.
Operazioni di riciclaggio furono fatte in tante finanziarie di gruppi che
illustrano il capitalismo italiano. Perché Dell'Utri sì e altri no?". E tra
gli ospiti e i relatori dei "Circoli", i "pensatoi" politico-culturali fondati
in tutta Italia dal senatore azzurro per "rovesciare" l'egemonia culturale
della sinistra, si leggono nomi come quelli dell'architetto Massimiliano
Fuksas o dell'avvocato Giuliano Pisapia.
Per non dire di quanti come Massimo Cacciari e Oliviero Diliberto hanno accettato
di spartire la passione elitaria per i libri antichi.
Passione che lo storico braccio operativo di Berlusconi spiegò un giorno
confidando l'orgoglio di possedere il più bel libro stampato in Spagna nel
'700 cioè "il Don Chisciotte del Cervantes edito dai fratelli Ibarra con
illustrazioni di Joseph del Castillo" e poi "una splendida edizione di Molière
con le illustrazioni del Boucher del 1784" e poi rarissime edizioni delle
favole di La Fontaine e dell'Odissea illustrata da Schmied e dei Promessi
Sposi... Come rifiutare il dialogo a un intellettuale così raffinato da discettare
per ore sull'odore degli antichi tomi "dal quale si può riconoscere pure
il secolo" o sul fruscio delle pagine nel quale lui sa avvertire "il canto
del foglio di carta del Cinquecento" o sul colore di certa carta "bianca
come le cosce di una monaca"? Come immaginare che un uomo così, che di definisce
"naturaliter pirandelliano", abbia a che fare con i boss? E questo chiese
infatti lo stesso Dell'Utri al pubblico, la sera in cui l'attore Carlo Rivolta
("Io sono un sacerdote che ufficia Socrate, questo clima non consente la
rappresentazione") si rifiutò d'andare in scena perché dopo decine di serate
aveva di colpo scoperto che il mecenate che sganciava i soldi forse lo strumentalizzava
usando "L'apologia" contro i giudici nostrani. Andò sul palcoscenico e disse:
"Voi pensate davvero che io sia l'ambasciatore della mafia a Milano? Ma guardatemi
in faccia!".
Una "montagna di balle": così definì la sentenza che lo aveva appena condannato
a nove anni di carcere dopo 257 udienze e 12 giorni di camera di consiglio.
Le accuse? "Mondezza da buttare via: la sentenza premia la mondezza". Il
suo avvocato, Enzo Trantino, andò ancora più in là: "Ha prevalso la società
dei malfattori". I rapporti con Vittorio Mangano, il boss "assunto" come
"stalliere" alla villa di Arcore? Vai a saperlo che era un mafioso: "Sono
andato a farmi interrogare a Palermo con l'aria del bravo ragazzo convinto
di poter chiarire ogni cosa. Speravo che almeno i magistrati siciliani capissero
meglio il clima di spagnolesche cortesie innocenti a cui si abbandonano due
palermitani che s'incontrano a Milano". La cena alle "Colline Pistoiesi"
con il boss Antonino Calderone? Era lì per caso, portato da Mangano. La partecipazione
alle nozze londinesi del boss "Jimmy" Fauci? Era a Londra per una mostra
sui Vichinghi e l'aveva trascinato lì Gaetano Cinà, incrociato per puro caso.
E non c'è episodio, intercettazione, coincidenza che non appaiano indecenti
e scandalosi (tanto più se collegati alla condanna definitiva con interdizione
dai pubblici uffici per gli 11 miliardi di fatture false di Publitalia e
poi a quella in primo grado per tentata estorsione) alla sinistra. E dettagli
gonfiati ad arte alla destra, convinta si tratti solo di una "macchinazione"
ordita per eliminare un politico che, come spiegò un giorno Antonio Tajani,
"è stato eletto con una volontà popolare molto chiara" da 160 mila elettori
che "gli hanno confermato con la fiducia nella sua innocenza". Frattura totale:
di là un demonio, di qua un cherubino.
Dove trovare dunque orecchie più sensibili a questi temi se non tra gli azzurri
di Lamezia Terme, dove il comune è stato sciolto per infiltrazioni mafiose
due volte in dieci anni e gli elenchi degli iscritti a Forza Italia sono
stati sequestrati dai giudici? Dove dimostrare meglio, come si diceva, che
la lettura delle vicissitudini giudiziarie di Marcello Dell'Utri può essere
radicalmente rovesciata così che il nero diventi bianco e il rovescio diritto?
Lui stesso, del resto, ha mostrato più volte di sentirsi piuttosto sicuro,
sul suo terreno. Al punto di arrischiare battute di spirito che gli sarebbero
state rimproverate. Come quella che fece a "Moby Dick": "Se esiste la mafia?
Beh, Luciano Liggio diceva: se esiste l'antimafia esisterà pure la mafia...".
Gian Antonio Stella

INES TABUSSO