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Sine Dominico non possumus

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    00 15/04/2007 18:52

    Prima lettura


    Dagli Atti degli Apostoli
    Molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; degli altri, nessuno osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava.
    Intanto andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore fino al punto che portavano gli ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro.
    Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi e tutti venivano guariti.



    Seconda lettura


    Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo
    Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù.
    Rapito in estasi, nel giorno del Signore, udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alla sette Chiese.
    Ora, come mi voltai per vedere chi fosse colui che mi parlava, vidi sette candelabri d’oro e in mezzo ai candelabri c’era uno simile a figlio di uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro.
    Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la destra, mi disse: Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che accadranno dopo.







    Vangelo

    + Dal Vangelo secondo Giovanni
    La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
    Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”.
    Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”.
    Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!”. Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”.
    Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.




    Dalla persecuzione alla testimonianza

    Spaventati e chiusi

    I discepoli sono chiusi in casa per timore dei Giudei: così l'evangelista ce li presenta, prima dell'arrivo del Risorto. Un gruppo impaurito, spaventato, chiuso. Ad essi il Risorto si presenta, mostrando le sue piaghe, e salutandoli con un saluto di pace. E' una strana pace quella che proviene da un uomo piagato, che porta i segni della sua sofferenza, a un gruppuscolo timoroso della persecuzione. Ma abbiamo già avuto modo di notarlo: il Risorto rovescia completamente le realtà con cui viene a contatto. La persecuzione latente viene trasformata in occasione di testimonianza: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi".

    Il rovesciamento

    Si ripete dunque ciò che era già avvenuto in quello stesso cenacolo, in occasione dell'Ultima Cena: la morte violenta ormai imminente era divenuta dono d'amore. L'umile servizio del lavare i piedi era divenuto occasione per affermare l'autentica natura del Regno che Gesù veniva a portare. Il tradimento e il rinnegamento diventano l'occasione per riaffermare l'amore esclusivo ed esigente di Gesù, che non si ferma neppure davanti al rifiuto. La morte violenta diventa il momento in cui risplende il perdono di Dio. "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi": la Risurrezione chiama i discepoli a ripetere ciò che era stato fatto dal Signore e Maestro, nell'ora più decisiva della sua vita.

    Un gesto creativo

    Più precisamente, il "fare quello che ha fatto Gesù" viene precisato come incarico di perdono: "A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". Forse ci aspetteremmo un invito a fare il bene. O un invito all'amore. O un qualcosa di più concreto e più positivo del "perdonare". Ma tale è il mandato del Risorto: e non sta a noi cambiarlo o contestarlo, ma capirlo in profondità. Rimettere i peccati è gesto creativo, di risurrezione, è immettere novità e sorpresa dove c'era solo morte e abitudine. La Chiesa, nata dal Risorto, non può aver paura di nessun problema, ma riceve forza dallo Spirito per assumere, rovesciare e trasformare qualunque situazione avversa. Non è un compito facile, e lo stanno a testimoniare le piaghe che rendono riconoscibile il Risorto. Gesù ha vinto il peccato caricandoselo sulle spalle. La Chiesa mantovana oggi saprà fare altrettanto?


    Flash sulla I lettura

    "Molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli": la crescita della comunità di Gerusalemme, descritta da Luca nei primi capitoli degli Atti, non è dovuta a una capacità organizzativa, ad una forza economica, ad una ricerca intellettuale e culturale. La comunità ha una forza di attrazione che deriva dalla potenza del Risorto, e che si manifesta con i segni e i prodigi.
    "Erano soliti stare insieme nel portico di Salomone": è da annotare che esiste un luogo di ritrovo e una comunità ben precisa ed identificabile degli apostoli, a cui "nessuno osa associarsi": la presenza del Signore, che opera miracoli attraverso i suoi discepoli, esige per manifestarsi un gruppo riconoscibile e identificabile, che si ritrova per la preghiera.
    "Andava aumentando il numero": l'aumento numerico non è un criterio assoluto, ma in certi casi può essere un segnale che effettivamente il Signore agisce nei cuori, e che la comunità è aperta all'iniziativa dello Spirito. La Chiesa non può mai limitarsi alla pura conservazione dell'esistente, e questo sia in senso quantitativo, sia in senso qualitativo.
    "La folla accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi...": troppo frettolosamente siamo tentati di liquidare questa ricerca come superficiale e miracolistica, e troppo facilmente siamo tentati di associarla a gruppi e fenomeni del nostro tempo, che scambiano ricerca di fede e ricerca del prodigioso. Per la primitiva comunità, l'interesse per i malati è innanzitutto fedeltà al mandato di Cristo, ripetere ciò che aveva fatto il Maestro. E, lo ripetiamo: come per Gesù, così anche per la Chiesa del mondo antico, occuparsi dei poveri, degli indemoniati, equivale ad occuparsi dei rifiuti della società, di coloro di cui nessuno si vuole occupare. Questo è quello che oggi molte comunità cristiane fanno, senza miracolismi, ma compiendo autentici miracoli di amore. Ma lo fanno anche le nostre parrocchie? Sappiamo vedere i piccoli e i poveri che chiedono a noi di rendere presente oggi la potenza del Risorto? E sappiamo riunirci insieme, come gli apostoli, per invocare ed essere segno visibile della sua forza?

    Flash sulla II lettura

    "Vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione": Giovanni si presenta innanzitutto come uno che sta soffrendo per il Vangelo, per il "regno e la costanza in Gesù". Da questo contesto di fede impegnativa e ostacolata nasce il libro dell'Apocalisse.
    "Rapito in estasi nel Giorno del Signore": la Domenica è presentata qui come il giorno in cui l'evangelista riceve consolazione e conforto, per sé e per le comunità: "quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese". Non si tratta dunque di una rivelazione privata ed elitaria, ma di una manifestazione della volontà di Dio, collocata in un ambito liturgico, e che giova all'edificazione di tutta la Chiesa.
    "Io sono il Primo, e l'Ultimo e il Vivente": è il Risorto che parla, che continua ad assistere la sua Chiesa, con la sua presenza viva e operante nella storia.
    "Scrivi dunque le cose che hai visto...": scrivere un libro significa chiudere, sigillare la rivelazione, che acquista così un carattere definitivo e non superabile. Il riferimento privilegiato è al libro, a ciò che è già stato detto e a ciò che è già stato scritto. Questo testo è molto significativo in un'epoca in cui molti vanno in cerca di segni miracolosi, apparizioni, visioni... che in realtà, al di là di qualche somiglianza di facciata, hanno un carattere molto dieverso dall'esperienza evocata dall'autore dell'Apocalisse. Ciò di cui abbiamo bisogno non sono nuove visioni, ma è una rinnovata capacità di leggere la storia, con l'aiuto del Libro per eccellenza, da leggere e meditare quotidianamente.


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    Abbiamo visto il Signore

    Mons. Antonio Riboldi


    Quello che colpisce tutti, credo, è il pessimismo dilagante, che si nota nelle parole e sul volto di troppi, anche tra noi cristiani, come se Cristo, nostra Gioia e Speranza, non fosse mai risorto, ma fosse rimasto sempre là, immobile e senza vita, nel sepolcro.
    E vicino al pessimismo si respira tanta paura, di cui non si sa nemmeno spiegare le ragioni.
    Una paura che mette addosso tanta, ma tanta, insicurezza in quanto facciamo e viviamo.
    Pare che tutte le speranze che, nel tempo, ci eravamo costruite, lentamente si sciolgano come neve al sole. Ed abbiamo ragione, perché di nulla possiamo essere certi qui sulla terra.
    Successe lo stesso agli apostoli, dopo la crocifissione del Maestro, che era la sola loro speranza. Scelti, lo avevano seguito senza opporre resistenza e senza neppure sapere, all'inizio, a cosa erano destinati: essere apostoli, ossia quelli che dopo la Pasqua, avrebbero avuto il meraviglioso ed impegnativo compito di dare al mondo la vera speranza, che è Cristo Risorto, vera Luce del mondo. E la daranno, con la passione che sa infondere lo Spirito Santo a quelli che Lo accolgono e Lo seguono.
    Ma, subito dopo la crocifissione, gli apostoli, ancora 'poveri uomini', anche se fedeli al Maestro, erano stati presi dalla paura e si erano nascosti, delusi, anche se, forse, con nel cuore un'ansia, 'un sentire che non poteva finire tutto così'. Gesù non era e non è uno che ti lascia per strada, abbandonandoti al tuo destino. Se ti chiama e tu lo segui, Lui non ti lascia mai. In chi davvero Lo segue, a volte pare che scompaia, dandoti l'impressione di avere riposto il tuo amore nel 'nulla'. Ma se c'è una meraviglia, che è dono di Dio stesso ed è la sua stessa natura, è proprio l'amore. E l'amore negli apostoli era davvero grande. Gesù lo aveva coltivato per tre anni, sapendo di deporlo in cuori generosi.
    Come capita a tutti quelli, come noi, che seguono Gesù: a volte rimaniamo come sorpresi dalla Sua apparente assenza nelle nostre difficoltà, che sono il buio della vita.
    Ed è tanto, oggi, il 'buio', ma, diceva il Santo Padre, tempo fa: "E' più utile in questi casi, accendere un cerino, che maledire il buio".
    A farci entrare nel mondo della speranza, che sa superare i momenti di buio, ci viene incontro il Vangelo di oggi: "La sera dello stesso giorno - racconta l'evangelista Giovanni - il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi! Detto questo mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi. Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri apostoli: Abbiamo visto il Signore! Ma egli disse loro: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò.
    Otto giorni dopo (come oggi), i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi! Poi disse a Tommaso: Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani: stendi la tua mano e mettila nel mio costato, e non essere più incredulo, ma credente! Rispose Tommaso: Mio Signore e mio Dio! Gesù rispose: Perché mi hai visto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto, crederanno" (Gv 20, 19-31).
    Possiamo facilmente immaginare lo stupore di vedersi di fronte Colui che amavano tanto e di cui avevano accolto l'invito a seguirLo, quando erano stati scelti e chiamati...senza nemmeno sapere ancora Chi fosse veramente e, soprattutto, 'dove' li avrebbe portati, cosa avrebbe riservato per loro e a che cosa li avrebbe destinati!
    VederseLo lì davanti, Glorioso, Lui, che credevano sepolto per sempre, come tocca a noi uomini, certamente deve averli sconvolti: "Pace a voi!"
    Quell'irrompere improvvisamente nella loro vita, Risorto, ha 'cambiato' la loro esistenza! Niente era più come prima! Gesù li portava in 'un altro mondo', dove la morte non ha più posto: c'è posto solo per la Gioia, la Vita.
    Viene da chiederci se anche per noi la Pasqua, cioè l'inaspettato e atteso Dio che riappare nella nostra vita per dirci: "Pace a voi!", è sorpresa e gioia.
    "Non pochi cristiani - affermava Paolo VI - hanno della religione concetti imprecisi: forse pensano della fede ciò che decisamente non è, ossia offesa al pensiero, catena al progresso, umiliazione dell'uomo, tristezza della vita. Della luce pasquale noi vogliamo cogliere un raggio per tutti (come fu per gli Apostoli): per tutti quelli che lo vogliono ricevere, come dono, come segno almeno della nostra dilezione. Cristo risorto è il raggio primo della Pasqua, cioè della vita risorta in Cristo e in noi che vogliano essere cristiani. Ed è la Gioia. Il cristianesimo è gioia. La fede è gioia. La Grazia è gioia. Ricordate questo, o uomini, o amici, Cristo è la vera Gioia del mondo. La vita cristiana, sì, è austera, conosce la rinuncia e il dolore, fa proprio il sacrificio, accetta la croce, e quando occorre affronta la sofferenza. Ma nella sua espressione è sempre 'beatitudine': Gioia" (28 marzo 1964).
    Ma... c'è sempre un 'ma', che oscura la nostra fede che cerca, quando le cerca, certezze che non appartengono a Dio, ma al nostro modo di cercare qui.
    Occorre cercare secondo lo stile di Dio che si presenta, attraversando le 'pareti' della nostra debolezza, e si manifesta dicendoci: 'Pace a voi!'.
    È quella esperienza di fede che accompagna la vita dei santi, di coloro che davvero 'sono' cristiani, più che 'dirsi' cristiani.
    Dio conosce la nostra innata debolezza a riconoscerLo... come fu per Tommaso, che voleva 'segni chiari': "Se non metto il dito nelle sue mani, la mano nel suo costato, non credo!". Appartiene proprio alla nostra natura umana questa debolezza e Dio la conosce bene. E allora Lui fa il primo passo verso di noi. Sempre che in noi, come negli Apostoli, ci sia almeno una ricerca, una voglia di seguirLo, un vago desiderio di vederLo e quindi di stare con Lui.
    Viviamo un tempo di tale consumismo, che lascia poco posto al desiderio del divino... come se fossimo ben 'sepolti' alla gioia, preferendo il buio delle creature senza vita, quando non sono il veleno della vita e della gioia!
    Una mamma mi confidava, un giorno, il suo immenso dolore: "Ho due figli che ho cresciuto nella fede, quella vera. Sembrava che avessero trovato la vera via della vita in Cristo, nella Chiesa. Eravamo felici, come 'pasque'. Poi il mondo li ha come inghiottiti e sembra dia fastidio anche solo essere cristiani. Come se tra loro e Dio fosse sceso un muro insuperabile. Non interessa più la gioia del Risorto: cercano disperatamente la gioia in altro, che nulla ha di Dio. A volte, a sera, nei momenti di silenzio, senza che loro si accorgano, guardando i loro occhi, vedo come una tristezza da 'sepolti alla gioia'. Come vorrei che quella pietra, che li tiene sepolti, fosse rimossa e così tornassero a godere della vera gioia che è Cristo!".
    Certamente non è cosa da poco saper accogliere Cristo, che cerca in tutti i modi di 'apparire a noi'. A volte, Lo fa', straordinariamente, con coloro, tanti, che, come Tommaso, sono convinti di non riuscire a ritrovare la Sua strada: Lo credono 'sepolto'! Ma Lui li sorprende...viene, toglie la pericolosa 'nube' che lo nascondeva, come non ci fosse, Lo 'vedono'... Lui c'è! Ne conosco tanti.
    Ma è altrettanto miracoloso e vero quello che Gesù afferma, contraddicendo la posizione di Tommaso: 'Se non vedo, non credo!'.
    "Tommaso tu hai creduto perché hai visto: beati quelli che pur non avendo visto, crederanno!".
    E tutti questi 'beati' sanno molto bene che nella Resurrezione di Gesù, non c'è solo una conferma della loro fede, ma vi è qualcosa di infinitamente più grande: l'aver ritrovato 'la vera Via, Verità e Vita'. Quella Via che non porta ad una negazione del domani, che è la nostra resurrezione con Cristo, ma dà senso di futuro anche al presente! Vivere è così avere un piede su questa esperienza terrena ed un piede nell'eternità. E vivere con gli occhi fissi al Paradiso, credetemi, è il motivo della Gioia che è in tanti, che sono con noi e tra di noi. È quello che prego per tutti voi, miei amici, sempre.
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    Ratzigirl
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    00 23/04/2007 00:40
    Liturgia 22 Aprile 2007


    Prima lettura

    Dagli Atti degli Apostoli
    In quei giorni, il sommo sacerdote cominciò a interrogare gli apostoli dicendo: “Vi avevamo espressamente ordinato di non insegnare più nel nome di costui, ed ecco voi avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina e volete far ricadere su di noi il sangue di quell’uomo”.
    Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avevate ucciso appendendolo alla croce. Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo capo e salvatore, per dare a Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a lui”.
    Allora li fecero fustigare e ordinarono loro di non continuare a parlare nel nome di Gesù; quindi li rimisero in libertà. Ma essi se ne andarono dal sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù.



    Seconda lettura

    Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo

    Io, Giovanni, vidi e intesi voci di molti angeli intorno al trono e agli esseri viventi e ai vegliardi. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce:
    “L’Agnello che fu immolato
    è degno di ricevere potenza e ricchezza,
    sapienza e forza,
    onore, gloria e benedizione”.
    Tutte le creature del cielo e della terra, sotto la terra e
    nel mare e tutte le cose ivi contenute, udii che dicevano:
    “A Colui che siede sul trono e all’Agnello
    lode, onore, gloria e potenza,
    nei secoli dei secoli”.
    E i quattro esseri viventi dicevano: “Amen”. E i vegliardi si prostrarono in adorazione.



    Vangelo


    + Dal Vangelo secondo Giovanni
    [In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: “Io vado a pescare”. Gli dissero: “Veniamo anche noi con te”. Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla.
    Quando già era l’alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?”. Gli risposero: “No”. Allora disse loro: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: “È il Signore!”. Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi la sopravveste, poiché era spogliato, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri.
    Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: “Portate un po’ del pesce che avete preso or ora”. Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatrè grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. Gesù disse loro: “Venite a mangiare”. E nessuno dei discepoli osava domandargli: “Chi sei?”, poiché sapevano bene che era il Signore.
    Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce. Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti.]
    Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti amo”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Gli disse di nuovo: “Simone di Giovanni, mi ami?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti amo”. Gli disse: “Pasci le mie pecorelle”. Gli disse per la terza volta: “Simone di Giovanni, mi ami?”. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo”. Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecorelle. In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”.
    Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: “Seguimi”.





    Se non l’amore almeno l’amicizia


    In riva al lago, uno dei dialoghi più affascinanti della storia di Dio che cerca l'uomo. Gesù si rivolge a Pietro con tre domande, ogni volta diverse, come tre tappe attraverso le quali guarire in radice il suo tradimento. Simone di Giovanni, mi ami più di costoro? A Gesù non interessa né giudicare né assolvere; per lui nessun uomo coincide con i suoi peccati, né con le tante notti senza frutto, ma un uomo vale quanto vale il suo cuore. Che lui vuole ravvivare, adesso. Misera è la santità pensata solo come assenza di peccato. Santità è rinnovare la passione per Cristo, adesso.
    Gesù usa un verbo raro, quello dell'agàpe, dell'amore grande, del massimo possibile; Pietro risponde con il verbo umile dell'amicizia; lui, abituato a primeggiare esce dalla competizione, dice solo: Signore, sì, tu sai che ti sono amico. Gesù domanda una prova a Pietro, prova d'amicizia: pascola i miei agnelli. Pascolare significa procurare alimento al gregge, ma cominciando dai più piccoli e deboli, porsi a servizio degli inferiori. Proprio ciò che Pietro ha contestato a Gesù nella lavanda dei piedi.
    Seconda domanda: Simone di Giovanni, mi ami? Rimane il grande verbo dell'amore assoluto, ma non compare più il confronto con gli altri discepoli. Pietro sa di non poter rispondere con lo stesso verbo, è cosa da Dio, e si aggrappa all'amicizia, così umana, così rassicurante: Signore, io ti sono amico, lo sai. Prova d'amicizia sarà pascolare il suo gregge, abbandonare ogni superiorità, vivere per gli altri.
    Nella terza domanda, Gesù si avvicina ancora di più al suo discepolo. È lui stesso questa volta ad abbandonare il verbo "amare" adottando il verbo di Pietro: Simone di Giovanni, mi sei amico? L'affetto almeno, se l'amore è troppo; l'amicizia almeno, se l'amore mette paura. Semplicemente un po' di bene. Gesù dimostra il suo amore abbassando per tre volte l'esigenze dell'amore. Fino a che le esigenze di Pietro, la sua fatica, la sua tristezza diventano più importanti delle esigenze stesse di Gesù. Dio si dimentica per collocarsi al livello di Pietro: il tu è più importante dell'io. Solo così l'amore è possibile.
    Gesù mendicante d'amore, mendicante senza pretese, che assicura: Pietro, il tuo desiderio di amore è già amore. E quando interroga Pietro, interroga me: sì, Signore, tu lo sai che un po' di bene te lo voglio, un po' d'amicizia tra tanta indifferenza, un po' d'attenzione tra tanta freddezza; non oso dire che ti amo, però, come Pietro, ti sono amico. Sarò anch'io pastore di un minimo gregge: di familiari, di amici, di poveri affidati alla mia amicizia. Chiamami, se non cerchi uomini infallibili, ma solo appassionati. Chiamami e ti seguirò.

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    Servizio Informazione Religiosa


    Perché Gesù avrà chiesto a Simon Pietro se lo amava più degli altri discepoli? Perché questo metterlo a confronto con gli altri? Gesù non cerca la differenza o lo scarto di maggioranza e minoranza tra lui e gli altri del gruppo, ma vuol far emergere nell'interiorità di Simon Pietro la differenza tra due sponde: cosa significhi seguire Gesù e cosa significhi amarlo. Nel tassello della terza domenica del tempo di Pasqua la pennellata evangelica dal tratto giovanneo non arriva a caso ed ha una sua logica tra il prima e il dopo della Pasqua. A parte la figura di Giuda Iscariota i volti e le persone sono sempre le stesse. Ma Gesù è risorto: il suo corpo non è più riconoscibile nemmeno dai suoi amici più intimi e vicini, i discepoli. In questo non essere riconosciuto Gesù gioca l'intera scena cercando di portare i discepoli a conoscerlo in un modo nuovo e a sapersi conoscere in un rinnovato stile. Gesù interroga Simon Pietro chiamandolo "Simone di Giovanni". Lo chiama con il nome di suo padre. Quella di Gesù è una precisa pedagogia nel portare il "Simone di Giovanni" a divenire "Pietro", roccia.

    Se da un lato Pietro continua a svolgere il suo lavoro di pescatore, Gesù dall'altro continua a fare il suo di "mestiere": cercare e amare perennemente l'uomo. Pietro riprende in mano le reti di sempre, amiche e nemiche nella sua lunga giornata assieme agli altri soci pescatori. Anche Gesù riprende in mano le relazioni là dove le aveva lasciate: nell'orto degli ulivi, mentre lui pregava i discepoli si erano addormentati. Vanno a pescare con gli occhi chiusi e appesantiti da sfiducia e scoraggiamento; di fronte all'amare il Cristo sino alla fine sulla croce sono scappati rifugiandosi in loro stessi. Per tale motivo non presero nulla quella notte. È la notte del quando oscuriamo Dio per accendere la fioca luce della nostra persona egocentrica. È la notte della presunzione di essere e agire nel giusto non senza calpestare chi ci è accanto. È la notte dell'illusione che per amare il Signore era sufficiente seguirlo e stargli vicino. Se la fede è per contagio l'amore è per trasfusione: c'è un corpo da dare, donare, spezzare.

    La vita della parrocchia è questa grande vena che riceve il sangue non per sua bravura, per puro dono. Lo stile di progettare la pastorale di una Diocesi e delle singole comunità va ricercato, purificato e filtrato nella vena della relazione con Cristo che pulsa con il sangue della Parola, dei sacramenti, della vita spesa per gli altri. La stessa catechesi, in questa ottica, rischia di essere dissanguata dal radicamento dell'annuncio del Vangelo finalizzato al sacramento più che alla vita cristiana. La catechesi in Italia sta vivendo la stessa notte di Simon Pietro e soci che non presero nulla in quanto fatica ad offrire senso per la globalità della vita del bambino, adolescente e giovane.

    La vena è puro canale che veicola il sangue in tutto il corpo: il cristiano è questa vena che nel corso della storia permette che la vita raggiunga tutto e tutti. Quando egli pretende di essere cuore o sangue scende la notte, non si pesca nulla, si tradisce. E dal tradimento, quale vena otturata, il Signore risorto riprende il rapporto con Simon Pietro, ripartendo dal nome di suo padre. Ai bordi di quel mare si compie l'Eucaristia. Ogni giorno ai margini della giornata ci attende un pane che nutre il cuore.

    Prima della Pasqua Gesù aveva indicato se stesso come pane da mangiare nella totale incomprensione dei discepoli. Quel pesce cotto da Gesù è l'uomo salvato dal mare del peccato e della paura che si trasforma in donazione totale. Ecco perché Gesù dice a Simon Pietro: "Segui me". Perché finché seguirà se stesso sarà quella vena che nel tempo si inaridisce perché staccata dal cuore; sarà una lunga notte di non pesca perché è il mare del non abbandono e fiducia. Ma da quei bordi del mare di Tiberiade Gesù il Risorto ha scelto nuovamente Simone di Giovanni per renderlo il Pietro della storia. Continua a scegliere l'uomo perché sia quel "di più" che cambia la storia. La sua e del mondo.

    [Modificato da Ratzigirl 23/04/2007 0.41]

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    Ratzigirl
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    00 30/04/2007 01:27

    Prima lettura


    Dagli Atti degli Apostoli

    In quei giorni, Paolo e Barnaba, attraversando Perge, arrivarono ad Antiochia di Pisidia ed entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, si sedettero.
    Molti Giudei e proseliti credenti in Dio seguirono Paolo e Barnaba ed essi, intrattenendosi con loro, li esortavano a perseverare nella grazia di Dio.
    Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola di Dio. Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono pieni di gelosia e contraddicevano le affermazioni di Paolo bestemmiando. Allora Paolo e Barnaba dichiararono con franchezza: “Era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore: ‘‘Io ti ho posto come luce per le genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra’’”.
    Nell’udir ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola di Dio e abbracciarono la fede tutti quelli che erano destinati alla vita eterna.
    La parola di Dio si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei sobillarono le donne pie di alto rango e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li scacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Iconio, mentre i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.



    Seconda lettura


    Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo
    Io, Giovanni, vidi una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani.
    E uno degli anziani disse: “Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro.
    Non avranno più fame,
    né avranno più sete,
    né li colpirà il sole,
    né arsura di sorta,
    perché l’Agnello che sta in mezzo al trono
    sarà il loro pastore
    e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
    E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi”.


    Vangelo


    + Dal Vangelo secondo Giovanni
    In quel tempo, Gesù disse: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
    Io dò loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano.
    Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola”.




    Eccomi!

    Mons. Antonio Riboldi

    Questa domenica è detta "del buon Pastore". E tutti sappiamo chi è "il buon Pastore" quando è Gesù che parla. E' Lui stesso. La figura che ha scelto, per dire come segue la nostra vita, sta ad indicare che Lui ha talmente cura di ciascuno di noi, da farsi non solo nostra guida, ma da dare la vita se necessario. E nelle "pecore" indica la docilità che i suoi discepoli devono avere, se vogliono godere della serenità propria di chi sa di camminare al sicuro da ogni pericolo. "Seguimi" è il verbo che Gesù usa quando incontra noi. Un verbo molto bello e molto difficile, perché mette al bando ogni nostro disegno di percorso nella vita, che sia affidato alla nostra fantasia, ai nostri progetti, che il più delle volte sono disegni sulla sabbia, subito cancellati dalle onde o dal vento. E la vita non può essere certamente un disegno scritto sulla sabbia. Quando ero giovane, inesperto, nei primi passi della mia vita cristiana, avevo, per grazia di Dio, come padre spirituale, un famoso poeta del '900, don Clemente Rebora, convertitosi al cristianesimo a 40 anni e quindi con la stoffa del convertito, che non interpreta la vita davanti a Dio come un pericoloso "ni", ma come un felice "sì", che mi ripeteva continuamente: "Ricordati che la vita di ciascuno di noi ha tre "vocazioni": la prima quando Dio ci chiama alla vita e nel Battesimo ci fa essere parte della Sua famiglia: la seconda e quella che Lui ha progettato per noi, come cammino di amore e su cui si tesse giorno per giorno la santità, come un ricamo quotidiano; la terza è quando ci chiama a tornare a casa, nella morte". La prima e la terza vocazione sono nelle Sue mani, ma la seconda altro non è che un dire "sì" alla sua volontà che si esprime nel come appunto interpretare l'amore che parte da Lui. Lui sa perché ci ha creati: Lui sa qual è il progetto e quindi la nostra vocazione. A noi spetta individuare quale sia quel progetto. In altre parole qual è il "senso della nostra vita, alla luce della sua volontà".
    Così parlò Gesù agli: apostoli, che Lui aveva scelto, nell'Ultima Cena, come una lezione ed un testamento: "Il mio comandamento è questo: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: morire per i propri amici. "E qui balza chiaro il significato del buon Pastore: "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono". Poi aggiunge sempre nell'Ultima Cena: "Voi siete miei amici se fate quello che io vi comando, Io non vi chiamo più schiavi perché lo schiavo non sa che cosa fa il suo padrone, Vi ho chiamati amici perché vi ho fatto sapere tutto quello che ho udito dal Padre mio. Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi, e vi ho destinati a portare molto frutto, un frutto duraturo". E oggi la Chiesa chiama tutti indistintamente a meditare, e seriamente, sul senso della propria vita: sulla propria vocazione: in modo particolare sulle vocazioni speciali al sacerdozio ed alla vita consacrata. E' davvero qualcosa che sfugge alla nostra mente cosa voglia dire essere amati in modo particolare da Dio, al punto che lui fissa la sua attenzione ed esprime il suo particolare amore nel dire a qualcuno di noi "Tu, seguimi". Davanti ad un Dio che si rivolge a te personalmente, per farti partecipe della sua volontà di salvare gli uomini, balza alla mente la scena che abbiamo meditato la scorsa domenica: ossia il dialogo tra Gesù e Pietro. "Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?" E Pietro: "Tu lo sai, Signore che ti voglio bene" "Pasci le mie pecorelle". E' un racconto 'da paradiso questo dialogo tra la potenza di Dio, che si affida non alla 'potenza dell'uomo, ma alla disponibilità dell'uomo pur conoscendo l'abisso della sua povertà.
    Ed è quello che avviene ogni volta che Dio sceglie e chiama qualcuno di noi al sacerdozio o alla vita consacrata. E' bello sapere che la propria vita viene come 'rapita' da Dio che la usa, rispettando la nostra libertà in cui risiede la suprema bellezza del nostro 'sì', per farsi presenza di amore tra gli uomini di ogni tempo.
    Ripenso alla mia scelta. Dio mi prese da fanciullo e mi ha condotto dove Lui ha voluto: ha fatto di me quello che ha creduto più opportuno, conducendomi per mano, è proprio il caso di dirlo. Mi ha insegnato a essere pastore in situazioni difficili, come essere parroco nel Belice o essere Vescovo ad Acerra. Ma mi sono trovato sempre bene, perché ho sentito la "sua mano potente" che dirigeva i miei passi. Non finirò mai di ringraziarLo per questa sua scelta e questo amore privilegiato.
    Oggi però mancano Pastori: e l'uomo ne ha bisogno, come ha bisogno di sentire la voce, la presenza, l'amore di Dio vicino. Sono tante le parrocchie senza più parroci: perché mancano. I seminari hanno troppi posti vuoti: le stesse congregazioni, religiose sono costrette a chiudere case dove esercitavano la loro opera. E la gente sente il vuoto che si crea. Un vuoto di Dio. Ma perché questa mancanza di vocazioni? Forse che Dio non ama più le sue pecore? Ma Lui ha dato la vita perché ci salviamo. Credo che la carenza di vocazioni sia dovuta alla mancanza di conoscenza del significato profondo della vita. Sia dovuta anche ad una educazione alla vita non più come dono di Dio, ma come via al successo, al potere, al piacere. Manca quella sapienza che, attraverso un buon discernimento, faccia udire ancora la dolcezza del "Tu seguimi!" Manca la gioia di interpretare l'amore come un amore che si fa offerta a Dio che la chiede.
    Non ci si può fermare alla 'compassione che provo Gesù nel vedere come quelli che erano attorno erano pecore senza pastore": ma è necessario accogliere il suo invito: "Pregate perché il Padre mandi operai nella sua messe. "I nostri giovani devono ritrovare quel supplemento di cuore che fa andare oltre i propri limitati progetti. Per il bene di tutti.
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    La dimensione di Cristo come buon pastore

    Padre Raniero Cantalamessa

    In tutti e tre i cicli liturgici, la IV Domenica di Pasqua presenta un brano del Vangelo di Giovanni sul buon pastore. Dopo averci condotto, Domenica scorsa, tra i pescatori, il Vangelo ci conduce tra i pastori. Due categorie di uguale importanza nei vangeli. Dall'una deriva il titolo di "pescatori di uomini", dall'altra quello di "pastori di anime", dato agli apostoli.

    La maggior parte della Giudea era un altipiano dal suolo aspro e sassoso, più adatto alla pastorizia che all'agricoltura. L'erba era scarsa e il gregge doveva spostarsi continuamente; non c'erano muri di protezione e questo richiedeva la costante presenza del pastore in mezzo al gregge. Un viaggiatore del secolo scorso ci ha lasciato un ritratto del pastore nella Palestina di allora: "Quando lo vedi su un alto pascolo, insonne, lo sguardo che scruta in lontananza, esposto alle intemperie, appoggiato al suo bastone, sempre attento ai movimenti del gregge, capisci perché il pastore ha acquistato tale importanza nella storia d'Israele che essi hanno dato questo titolo ai loro re e Cristo lo ha assunto come emblema di sacrificio di sé".

    Nell'antico Testamento Dio stesso viene rappresentato come pastore del suo popolo. "Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla " (Sal 23,1). "Egli è il nostro Dio e noi il popolo che egli pasce" (Sal 95,7). Il futuro Messia è anch'esso descritto con l'immagine del pastore: "Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri" (Is 40,11). Questa immagine ideale di pastore trova la sua piena realizzazione in Cristo. Egli è il buon pastore che va in cerca della pecorella smarrita; si impietosisce del popolo perché lo vede "come pecore senza pastore" (Mt 9,36); chiama i suoi discepoli "il piccolo gregge" (Lc 12, 32). Pietro chiama Gesù "il pastore delle nostre anime" (1 Pt 2, 25) e la Lettera agli Ebrei "il grande pastore delle pecore" (Eb 13,20).

    Di Gesù buon pastore il brano evangelico di questa Domenica mette in risalto alcune caratteristiche. La prima riguarda la conoscenza reciproca tra pecore e pastore: "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono". In certi paesi d'Europa, gli ovini sono allevati principalmente per le carni; in Israele erano allevati soprattutto per la lana e il latte. Esse perciò rimanevano per anni e anni in compagnia del pastore che finiva per conoscere il carattere di ognuna e chiamarla con qualche affettuoso nomignolo.

    È chiaro ciò che Gesù vuole dire con queste immagini. Egli conosce i suoi discepoli (e, in quanto Dio, tutti gli uomini), li conosce "per nome" che per la Bibbia vuol dire nella loro più intima essenza. Egli li ama con un amore personale che raggiunge ciascuno come se fosse il solo ad esistere davanti a lui. Cristo non sa contare che fino a uno: e quell'uno è ognuno di noi.

    Un'altra cosa ci dice del buon pastore il brano odierno di Vangelo. Egli dà la vita alle pecore e per le pecore e nessuno potrà rapirgliele. L'incubo dei pastori d'Israele erano le bestie selvagge – lupi e iene – e i briganti. In luoghi così isolati essi costituivano una minaccia costante. Era il momento in cui veniva fuori la differenza tra il vero pastore -quello che pasce le pecore di famiglia, che ha la vocazione di pastore- e il salariato che si mette a servizio di qualche pastore unicamente per la paga che ne riceve, ma non ama, e spesso anzi odia le pecore. Di fronte al pericolo, il mercenario fugge e lascia le pecore in balia del lupo o del brigante; il vero pastore affronta coraggiosamente il pericolo per salvare il gregge. Questo spiega perché la liturgia ci propone il Vangelo del buon pastore nel tempo pasquale: la Pasqua è stata il momento in cui Cristo ha dimostrato di essere il buon pastore che da la vita per le sue pecore.
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