SPATARO SU INTERCETTAZIONI: APPROCCIO MINISTRO TECNICAMENTE SBAGLIATO E POLITICAMENTE STRUMENTALE

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INES TABUSSO
00giovedì 19 gennaio 2006 22:19



IL SOLE 24 ORE
19 gennaio 2006
"CONVERSAZIONI USATE PER INTENTI POLITICI"
intervista ad ARMANDO SPATARO
DONATELLA STASIO

ROMA
Se con la sua invettiva contro «l'uso distorto e a volte illegale» delle
intercettazioni telefoniche il ministro della Giustizia Roberto Castelli
pensava di lanciare un'accusa obliqua alla Procura di Milano, Armando Spataro,
numero due di quella Procura, che sta indagando sulle scalate Antoveneta
e Unipol, mette subito le cose in chiaro: la pubblicazione delle conversazioni
intercettate ritenute dal magistrato irrilevanti, come quelle tra Fassino
e Consorte, «va ricondotta a precisi intenti politici». Non dipende «né da
carenze della legge vigente né dalla quantità di intercettazioni effettuate».
Seduto alla scrivania del suo ufficio, Spataro sfoglia la relazione del ministro,
sottolineata in più punti. Per esempio dove Castelli paragona le intercettazioni
agli avvisi di garanzia perché, ora come allora, i magistrati si servirebbero
di queste «armi» per delegittimare la classe politica [1].

Un atto di accusa pesantissimo.

L'approccio del ministro a questo problema è tecnicamente sbagliato e politicamente
strumentale. Tecnicamente, l'alto numero di intercettazioni, in Italia, dipende
sia dall'esistenza di una criminalità dalle dimensioni sconosciute altrove
sia da una legislazione che ha di fatto svuotato la possibilità di usare
altre prove, come le dichiarazioni di collaboratori e coimputati. È chiaro,
quindi, che uno strumento che consente l'acquisizione di prove non cancellabili
in dibattimento venga privilegiato. Politicamente è strumentale perché l'affermazione
del ministro è inserita in una relazione tutta orientata a una critica alla
magistratura, come se l'utilizzo in chiave politica delle intercettazioni
fosse addebitabile ai magistrati.

Anche il Centrosinistra è critico sulle intercettazioni. I Ds, nella conferenza
sulla giustizia, lo hanno detto chiaramante.

Sì, però Massimo Brutti (responsabile giustizia dei Ds - ndr) è stato fermo
nel condannare l'uso strumentale ma anche nell'escludere ogni appoggio al
Ddl del Governo sulle intercettazioni. Detto questo, anche sul volume delle
intercettazioni sento inesattezze. Il ministro dice che l'uso che se ne fa
in Italia «non ha uguali in tutto il mondo delle grandi democrazie». È privo
di senso: il New York Times scrive che mezza America è sotto intercettazioni;
la Gran Bretagna continua a far fare intercettazioni ai servizi segreti;
il Parlamento europeo sceglie una strada molto elastica per la durata della
conservazione dei dati del traffico telefonico. Insomma, non si possono fare
affermazioni sganciate dalla realtà, dai sistemi, dal tipo di criminalità
e dal contesto tecnologico.

Però, dal 2001 al 2005 le intercettazioni sono aumentate.

È vero. Ma è vero anche che è aumentato il numero degli autori dei reati
scoperti. Pensiamo all'omicidio D'Antona e a quello Biagi o all'arresto del
somalo dopo le bombe di Londra.

I magistrati si sono scagliati contro la proposta del ministro di istituire
una sorta di Authority disciplinare, sganciata dal Csm. Analoga proposta,
ricorda Castelli, l'ha fatta il diessino Violante. Del resto, anche l'altra
idea di creare Tribunali «indipendenti» quando le parti in causa sono dei
magistrati ha un precedente in un Ddl del diessino Fassone.

Questo non sposta di una virgola il duro giudizio che si deve esprimere su
proposte che restano approssimative e che attentano all'indipendenza della
magistratura, da qualunque parte esse provengano. Proposte sbagliate e demagogiche.

Castelli vi accusa di autoreferenzialità. Anche D'Alema vi invita a superare
l'autoreferenzialità.

Ricordo un lungo articolo di Saverio Borrelli di tanti anni fa. Diceva che
il controllo di legalità esercitato dai magistrati su chi governa può ingenerare
insofferenza, anche solo nella logica di governare con le mani libere e non
in una logica di illegalità programmatica. Detto questo, non ci si può accusare
di autoreferenzialità perché vogliamo interloquire sui problemi della giustizia.
Abbiamo il diritto e il dovere di segnalare i guasti che certe scelte producono
al sistema. Qualcuno di noi lo ha fatto con altrettanta fermezza anche prima
del voto del 2001.

Il ministro Castelli dice che lei è un magistrato militante, antiamericano
e che lede il prestigio della magistratura quando definisce "leggi vergogna"
le riforme del Parlamento.

Castelli sembra ignorare che la definizione di leggi vergogna è persino entrata
nel glossario dei giuristi. Ma è significativo vedere, nella relazione del
ministro, che tra le riforme di cui questa legislatura dovrebbe menar vanto
non sono citate le leggi sulle rogatorie, sul falso in bilancio, la Cirami,
il Lodo Schifani, la Cirielli. Mi viene il sospetto, di fronte a questa omissione,
che sia per primo il ministro ad averne una certa vergogna. La verità è che,
come lui ha detto, mai in passato un Governo ha realizzato tali e tante riforme.
Ma questo è il punto: si potrà anche chiedere e sperare di raderle al suolo
in tempi più o meno brevi. Ma ricostruire una scala di valori condivisa sarà
opera durissima e lunga.








[1]
DALLA RELAZIONE DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA ROBERTO CASTELLI (17/1/2006):
cfr.:
"Ancor più rilevante è la seconda questione, relativa all?uso distorto e
alcune volte illegale delle intercettazioni telefoniche.
Siamo da poco usciti da un periodo tormentato, in cui l?avviso di garanzia,
nato al fine di tutelare l?indagato, era divenuto, se usato strumentalmente
il
mezzo principe per squalificare presso l?opinione pubblica il soggetto che
si voleva colpire.
In questi ultimi anni, sia perché la classe politica ha accresciuto la propria
credibilità, sia per la conclamata infondatezza di alcune accuse, questo
strumento non ha più impatto sull?opinione pubblica e si è pertanto passati
ad un altro mezzo, che è quello della divulgazione delle intercettazioni,
coperte dal segreto, da trasmettere a giornalisti complici.
Questo meccanismo è assai efficace dal punto di vista mediatico perché si
presta a ben due livelli di strumentalizzazione.
Il primo è quello posto in essere dalla fonte, che passa spezzoni che gli
interessano e cela quelli che ritiene opportuno non divulgare.
Il secondo livello è quello adottato dal giornale che, a sua volta, decide
cosa pubblicare e cosa no .
Anche se, in sostanza, questa pratica è scevra da rischi, è comunque
necessario commettere un reato, e allora, per evitare ciò, oggi si assiste
all?uso di un altro strumento di squalifica più raffinato in quanto
formalmente legittimo. Per un qualunque procedimento infatti, la
motivazione è redatta ad libitum dell?estensore, che può alternativamente
depositare tutto il materiale relativo alle intercettazioni, oppure depositare
soltanto quelle parti di cui ha deciso di avvalersi in sede di motivazione,
citando conversazioni, parti delle stesse o addirittura riassunti".
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