L'AMAREZZA DI LATORRE: TONINO CATTIVO, MASSIMO BUONO

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INES TABUSSO
00giovedì 26 luglio 2007 14:25


CORRIERE DELLA SERA
26 luglio 2007
Passato e presente
L'amarezza di Latorre: «Di Pietro ingrato»
Il dalemiano: «Nel '97 aiutammo l'ex-pm». Dieci anni fa nella sua casa il magistrato incontrò l'attuale vicepremier
Francesco Verderami


ROMA — «La gratitudine in politica non esiste», e certo non è facile per Nicola Latorre nascondere l'amarezza dietro il sorriso tirato con cui accoglie i compagni di partito che vanno a esprimergli solidarietà: «La gratitudine è un segno di lealtà, è riconoscere i meriti anche di chi la pensa in modo diverso da te». Non si capisce se a bruciare di più sia l'offensiva della magistratura di Milano sul caso Unipol, o «le ripetute offese» subite da Tonino Di Pietro. Ecco chi è «l'ingrato», ecco a chi si riferisce il dirigente dei Ds, all'ex pm, che accolse giusto dieci anni fa nella propria casa romana al Testaccio, per un incontro con Massimo D'Alema che doveva restare riservato. L'incontro invece divenne pubblico, costringendolo «a dormire per tre notti in albergo, pur di sfuggire all'assedio dei giornalisti. E nonostante questo non ho mai chiesto il risarcimento danni». Allora, era il 14 luglio del '97, finì la leggenda accreditata da D'Alema, che si vantava di esser «l'unico politico a non aver mai incontrato il dottor Di Pietro». In realtà i due si erano già visti, a casa di Antonio Bargone, altro fedelissimo dalemiano. Era stato un colloquio difficile, durante il quale il segretario del Pds aveva usato tutto il suo sarcasmo, rovesciando sull'interlocutore parole di fuoco sulla gestione di Mani Pulite. Ma l'appuntamento di quella sera d'estate aveva un altro scopo.
PARTI ROVESCIATE - Rispetto a oggi, le parti erano rovesciate: l'ex pm si era dimesso otto mesi prima da ministro dei Lavori Pubblici del governo Prodi, perché indagato dalla procura di Brescia sul «caso Pacini ». «Allora fu lui — ricorda Latorre agli amici — che chiese di incontrare Massimo per avere una mano d'aiuto ». Le cronache del tempo raccontano che Di Pietro si sfogò con D'Alema: «Mi sento solo e assediato. Mi stanno accerchiando con accuse infamanti». Da quella vicenda giudiziaria «Tonino » sarebbe uscito indenne, ma in quella fase fu D'Alema a offrirgli una mano, candidandolo nel collegio del Mugello «malgrado il partito in Toscana fosse contrario». Latorre non vuol parlare con i giornalisti di questa storia, però nei suoi colloqui riservati mette in risalto quale abissale differenza ci sia «tra un garantista come D'Alema», e l'ex toga milanese. Allora, quando Di Pietro si dimise da ministro, il segretario del Pds gli espresse pubblica solidarietà, aggiungendo che «non doveva cedere ai sospetti». Oggi invece è come se Di Pietro impastasse con i sospetti le sue dichiarazioni su D'Alema. «Sul piano umano, Massimo lo considera sgradevole », rivela Clemente Mastella che l'altro ieri ha avuto modo di parlare con il ministro degli Esteri: «Non ci si comporta come un corvo dinnanzi alle difficoltà altrui. Il fatto che Di Pietro sia pronto a mettere la mano sul fuoco solo per Piero Fassino è una vergogna. Si atteggia a pubblico ministero, si scaglia contro il Colle... Napolitano è furibondo». Dieci anni dopo i ruoli si sono rovesciati. Per il resto non sembra cambiato nulla. Allora D'Alema difendeva l'attuale ministro delle Infrastrutture dicendo che «la lotta politica sembra ormai un'arena dove si affrontano poteri impazziti, procure della Repubblica, servizi segreti». «E quando la Guardia di Finanza perquisì la casa di Di Pietro — ha rammentato Latorre ad alcuni compagni — Massimo fu uno dei pochi a dettare una dichiarazione in suo sostegno. Oggi Di Pietro non parla mai a sostegno di D'Alema, anzi... Dice un detto pugliese: "Fai bene e scordati, fai male e pensaci"». Sebbene anche il vicecapogruppo dell'Ulivo sia al centro delle attenzioni giudiziarie sul caso Unipol, i suoi pensieri preoccupati sono tutti per «Massimo». E se davvero sui Ds si starebbe abbattendo la nemesi politica di Tangentopoli, Latorre ripete agli amici che colpirebbe la persona sbagliata: «Io c'ero a palazzo Chigi, quando D'Alema era premier e Bettino Craxi stava per morire ad Hammamet. Massimo si prodigò per il suo rientro ma fu fermato. E pur avendo una visione politica diversa, mai, mai gli ho sentito pronunciare giudizi morali contro il leader del Psi. Massimo era e resta un garantista».


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