Il Regno dei Morti e la temibile maledizione del faraone

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BeatAurora
00mercoledì 14 dicembre 2005 21:27

"Vedi qualcosa?", domandò nervoso Lord Carnavon a Howard Carter, che guardava da un buco che terminava di fare nella parete della camera segreta dove si trovava il sarcofago e il tesoro di Tutankamon. "Sì", rispose questo emozionato, "vedo cose meravigliose che non appartengono a questo mondo, cose il cui valore non si può calcolare". Era il 26 novembre 1922.
Nómada.- Oggi sono uscito molto presto dal mio hotel a Luxor perché vado a visitare un luogo tanto speciale. Durante la notte mi imbarcherò per rimontare il Nilo in cerca degli eccezionali luoghi che segnano le sue sponde. Ma fino a quando la luce si nasconde, devo approfittare al massimo del giorno, quindi mi aspetta l’Ovest, quel luogo dove scende il sole, il Regno dei Morti secondo la credenza degli antichi egiziani: la Valle dei Re, chiamata anche dai faraoni la Valle della verità.
Dal traghetto che mi avvicina alla sponda opposta a Luxor vedo la Valle dei Re, una zona ripida di aride colline e gole dove la vita sembra impossibile. Né un cespuglio, né un insetto, soltanto sabbia e pietra rotta.

Man mano che il sole si alza, il riflesso si fa più accecante. Finalmente sono arrivato al luogo dedicato alla dea-cobra Meretseger, o colei che ama il silenzio.

Leggo nella mia guida che fino ad ora si sono scoperte 80 tombe di faraoni, regine e principi che scelsero di avere lì la loro ultima dimora. Tra quelle, la più famosa è la tomba di Tutankamon, non per essere la più ricca o quella del faraone più grandioso, ma per essere l’unica trovata con tutto il suo contenuto praticamente intatto, senza essere stata profanata dai saccheggiatori di tombe.

Tutankamon morì quando era un adolescente, per cui a malapena arrivò ad avere importanza nella storia dell’antico Egitto.

Vedendo i tesori che Howard Carter scoprì nel suo interno, oggigiorno depositati nel Museo Egizio di El Cairo, il visitatore non può trattenere un’espressione di ammirazione. Quantità meravigliose di oro massiccio magistralmente tagliato, smeraldi, lapislazzuli, rubini, stoffe preziose…

Se tutto questo fu trovato nella camera di un faraone "minore", quali indescrivibili tesori dovettero collocare nell’ipogeo dei più poderosi faraoni della storia, come Ramses II, Seti I o Amenophis IV?

Cammini costruiti modernamente collegano le diverse tombe. In ciascuna, dall’entrata, si scende verso le profondità delle montagne attraverso un corridoio nelle cui pareti sono rappresentati testi del "Libro dei Morti", il rituale che dovevano seguire i re per raggiungere la vita eterna.

In questa liturgia della morte, il corpo del faraone defunto è condotto da Anubis, il dio con testa di sciacallo e patrone degli imbalsamatori, affinché sia giudicato. In una basculla si colloca il cuore del faraone, che non deve pesare più della piuma che riposa nell’altro piattino della bilancia. Se non fosse così, il corpo e l’anima del faraone sarebbero divorati dalla dea Amemet, rappresentata da un coccodrillo che sorveglia vicino alla basculla.

Una volta superata la prova, la divinità Horus, con testa di falco, accompagna il faraone in presenza di Osiris, il dio dei morti, affinché dia il benvenuto al re al mondo dell’immortalità.

Scendendo dai corridoi e dalle stanze si arriva alla cripta, dove dietro un divisorio nascondevano la vera entrata al luogo in cui sotterravano il sarcofago con il corpo imbalsamato del defunto, i quattro vasi con le viscere estratte nella mummificazione e tutti quei beni personali, mobili, tesori e servitori (vivi) di cui poteva avere bisogno il faraone nella sua nuova vita.

Tra tutte le tombe si distingue per meriti propri quella della regina Hatsepsut, l’unica faraona della storia che, governando con mano di ferro in guanti di seta, offrì uno dei periodi più lunghi di pace e prosperità dell’impero.

È curioso sapere che i faraoni iniziavano a disegnare e a costruire la loro tomba dal momento della loro incoronazione. Il maestro mattonaio e l’architetto iniziavano immediatamente lo scavo nel luogo indicato in base al piano approvato dal re. I piani e i calcoli si realizzavano con una misura, il Gomito Reale, di 52,4 centimetri, cioè, quasi mezzo metro.

Tutti i lavori erano portati a termine da equipe altamente specializzate: scavatori, lucidatori di pietra, pittori… che andavano facendo i turni fino al conseguimento dell’opera.

Uscendo dalla necropoli, si trova il piccolo villaggio di Deir el Medina, dove vivevano alcuni sacerdoti e gli artigiani che costruivano e decoravano le tombe reali. Uomini che dedicavano la loro vita a quel lavoro, e che una volta terminato erano giustiziati affinché mai potessero svelare a nessuno l’ubicazione della tomba a cui avevano lavorato.

Nelle pareti dei corridoi e delle sale di accesso alla cripta, i faraoni scrivevano minacce e maledizioni contro tutto quello che osasse violare il loro eterno riposo e rubasse i loro beni personali. Forse da lì viene la famosa leggenda della "maledizione di Tutankamon", secondo cui tutti coloro che violassero la sua tomba resterebbero condannati a morire prematuramente e in strane circostanze.

Così, Lord Carnavon, promotore della spedizione di Howard Carter, morì a causa di una puntura di zanzara che si complicò dopo con un’infezione tagliandosi con la lametta del rasoio nello stesso punto dove lo aveva punto l’insetto.

Sir Douglas Reid, il radiologo dell’equipe che realizzò le lastre della mummia nell’interno dell’ipogeo, si sentì repentinamente stanco e sofferente. Dopo due mesi moriva senza ancora conoscere la causa della sua morte.

Audrey Herbert, che anche lui si trovava lì quando si ruppe la parete della cripta, cadde fulminato nella sua stanza quando si preparava per fare un bagno. Così come Arthur Mace, l’aiutante di Carnavon che ruppe il sigillo di accesso della stanza del sarcofago: morì pure lui bruscamente nella stanza del suo hotel in El Cairo.

Allo stesso modo, Bethel, segretaria di Howard Carter, moriva per un attacco di cuore, e suo padre, che anche lui era stato nella tomba, si suicidava non appena apprese la notizia lanciandosi nel vuoto dal settimo piano.

La leggenda della maledizione del faraone andò crescendo col tempo, dato che molte delle persone che ebbero contatto con lui furono vittime di incidenti e disgrazie.

È il caso di Mohamed Ibrahim, direttore di antichità dell’epoca, che tentò di impedire che alcuni oggetti del re viaggiassero per un’esposizione di Parigi, perché aveva avuto dei sogni premonitori, sollecitando a non permetterlo. Il governo egiziano lo obbligò a farlo e Ibrahim, lo stesso giorno che firmava il trasferimento, morì investito.

Il suo successore, Gamal Mehrez, quando si fece carico del posto, ostentò che non credeva alla maledizione: "È una credenza, non ha nessun senso. Io stesso ho lavorato tutta la mia vita tra le mummie, e qui mi vedono: ho l’aspetto di un morto? Si tratta soltanto di coincidenze." Gamal morì il giorno dopo avere inviato gli oggetti di Tutankamon ad un’esposizione a Londra.

E se non bastasse, l’equipaggio dell’aereo che ebbe questo incarico fu anche vittima della maledizione.

Imbrunisce rapidamente mentre ritorno sul traghetto verso la sponda orientale dove si trova il mio hotel. Sulle acque del Nilo, il silenzio, è rotto unicamente dalla vibrazione della vecchia imbarcazione e dal sussurro dello scafo che infrange soavemente la superficie dell’acqua. Impressionato dalla visita a quelle tombe penso se la maledizione mi colpirà. In fin dei conti, pure io sono entrato nella tomba.

Un brivido di inquietudine percorre la mia schiena. Esiste realmente la maledizione del faraone o si tratta soltanto di fatali coincidenze? Il tempo lo dirà, dato che lo sguardo ermetico della maschera di Tutankamon non sembra disposto, intanto, a svelare l’enigma.









"Diario di un fotografo nomade"


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