"Note per gli amici"

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L'ex Lutor
00lunedì 30 marzo 2009 11:29
(dell'arte e della luce)
Note per gli amici
Per noi, l'arte è un'altra cosa. Non si tratta di fare il giuoco dell'umanità che i diversi mezzi espressivi travestono in illusione di nuovo e d'individuale; non si fatta di fare gli istrioni o gli eroi; non si tratta di abbandono e di ebbrezza colpevole, motivi eterni di ogni individuazione del sentimento e del pensiero. Siamo fuori.
Tod und Verklarung! Noi tutti siano dei morti, dei carbonizzati, dei decomposti: abbiamo esaurite, nella sete insaziabile di un Faust, tutte le esperienze, spremute sino all'ultima stilla sanguinante tutte le passioni. Con Wagner ci siamo esauriti nell'eroico dell'elemento universale, con Fichte abbiamo risolto egoisticamente il mondo, con Nietzsche e, più con Rimbaud ci siamo devastati di umanità: palpitammo, indicibilmente sparsi sulla natura, con Debussy, e con Berkeley e Kant vivemmo in sede vitale il problema della conoscenza. Soffrimmo tutte le morti, vivemmo le illusioni di tutte le luci, nell'esperienza di questa epoca congesta e torturata. Ora tutto ciò non esiste più. Fuor dalle selve delle corruzioni che ci sventolarono finché non fummo che strani fasci di nervi disseccati - finiti - un deserto gelidamente ardente ci possedé, verso la rarefazione solare. Ora sappiamo che c'era qualcosa d'altro che la nostra ubriachezza nascondeva, ora sentiamo che sentimento, fede, amore ed umanità son deboli infinite malattie: tutto quel che è vita e realtà, per gli altri è caduto giù, per sempre, come una veste sporca, sudata e straccia da un corpo di luce. E gli uomini che si chiaman vivi, li vediamo morti fantocci, bruti e mercanti.
Non è pessimismo: si tratta di aver veduto. Nella conoscenza squallida abbiamo ritrovata la nostra realtà: l'io che è al di fuori della vita di tutti i giorni, l'illusione e la malattia in tutto il resto: e l'estraneità, la brutalità e la non-proprietà di tutte le cose che si chiamano spirituali: pensiero, sentimento, fede.
E si svegliò in noi: "quel che abbiamo di divino: l'azione antiumana"5. L'uomo che non è più agito, ma agisce - unica realtà - si risolse nella vita di ogni ora nel motivo della negazione. Da qui l'arte, la nostra arte, come terapeutica dell'individuo.
Noi siamo distruttori, immorali, disorganizzatori: vogliamo morte e follia: "Nous déchirons, vent furieux, le linge des nuages et des prières, et préparons le grand spectacle du désastre, l'incendie, la décomposition. ...l'état de folie, de folie agressive, complète d'un monde laissé entre les mains des bandits qui se déchirent et détruisent les siècles: sans but ni dessein, sans organisation". Ed in questo è la nostra saggezza, la nostra pena di vivere: portare logica e coerenza, disseccare la volontà di vivere, portare l'arbitrio nell'ordine, disciogliere il concreto nell'astratto, la fede nel capriccio. Non abbiamo più terra ferma, siamo contraddittori, prendiamo in giro noi, stessi come gli altri: nulla ci possiede; non vogliamo che questa negazione chiudentesi in se stessa, che l'annullamento in noi degli idoli, della necessità della malattia che ci ha creato le categorie: ossia la passione e la rappresentazione.
E tutto ciò, senza necessità, senza fede; io, sono al di fuori; ogni elemento sincero rappresenta incoscienza, non-proprietà.
Per capriccio - giuoco triste - arte.
Alchimia ed allucinazione delle forme astratte.
Noi sappiamo quel che facciamo, ché possediamo la distruzione, e non la distruzione possiede noi: lo sappiamo freddamente, chirurgicamente: mentre dall'altro lato tutto quel che facciamo è per noi stessi assolutamente incomprensibile: non vogliamo nulla. Io sono in malafede: i miei poemi m'importano come uno smalto per unghie: i miei quadri li faccio per la mia vanità. Scrivo perché non ho nulla da fare e per réclame. Sono un rastaquouère dello spirito. E ripongo la mia cosa nella forma senza vita, ripongo la mia cosa nel nulla: "ich habe meine Sache auf nicths gestellt".
Ed, a questo punto, l'io passionale ed il mondo pratico divengono spettacolo: esistono indifferentemente, in un'atmosfera artefatta, in una strana e stanca realtà di cartone: metropoli automatica, senza vita né stelle. Sdoppiamento profondo. Al disopra, la possibilità di scancellar tutto nella vita dell'arte astratta, nell'arbitrio, cosi, ammalandosi un poco in un capriccio ghiacciato; per non morire: presso all' altissimo granito bianco della coscienza superiore.

JE
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