[Prologo] Oscurità, dissipati

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DarkDreamer
00venerdì 25 febbraio 2005 16:27
"Su, tesoro, è ora di andare a dormire"
"No, mamma, io non ho ancora sonno"

L'amorevole madre portava con pazienza il suo pestifero figlio in braccio. *Non gli è bastata tutta la baraonda avvenuta in questi giorni?* pensava Ailina, questo il nome della donna che camminava per il corridoio del palazzo, le cui mura - splendide e pulite pareti di marmo pregiato - erano intervallate da diversi quadri, rappresentanti regnanti e regine, cavalieri e dame del passato, testimoni di quella gloria che ancora adesso era viva e nitida nei cuori e nelle convinzioni di lei e della sua gente.
Passava il suo sguardo da quelle splendide iconografie al volto candido e innocente di suo figlio Pavel, che ancora - nonostante la tarda ora della notte - non mostrava alcun segno di stanchezza. Un pensiero si profilava nella mente della madre, un pensiero che tutte le persone - incerte del futuro e della capacità della propria prole - avevano almeno una volta considerato: quando crescerà, sarà davvero pronto per quello che lo aspetta? "Quando sarò grande, sarò forte e valoroso proprio come loro" pronunciò solennemente il bambino quasi a rispondere al dubbio della madre, brandendo il suo piccolo gladio di legno quasi a voler uccidere un qualche mostro che fluttuava nell'aria limitrofa a lui. Ailina sorrise.

Giunsero alfine alla camera da letto del piccolo principe. Nella sua stanza, l'illuminazione scaturiva da una piccola candela accesa, la quale creava - per la gioia di Pavel - dei semplici ma agli occhi del fanciullo incredibili giochi di luce e ombra. La penombra risultante circondava gli scaffali con sopra delle piccole riproduzioni di eroi, cavalieri e mostri in latta, probabilmente i giocattoli preferiti dal pargolo. La penombra circondava anche il letto, un piccolo comodino su cui era posto un bicchiere ricolmo di una bevanda dal rosso acceso - frutta, probabilmente, visto che il vino poteva essere difficilmente bevibile a tale età -, mentre l'oscurità permeava tutto il resto. Ma la luce colpiva e faceva risaltare i lineamenti giovani di Pavel, quando fu disteso sotto le coperte della comoda branda - un ottimo pezzo di artigianato in legnoscuro, perlopiù. Ailina si sedette sul letto a breve distanza dal figlio e, sorridendo, gli rimboccò le coperte. Indi, lo accarezzo sulla fronte e gli diede un dolce bacio:

"Ora dormi, piccolo mio"
"Mamma, credi che la gamba di Elena si riprenderà? Io non aspetto altro che di tornare a giocare con lei e con Irin e Trenb"
"Ne sono sicuro, Pavel. Su, basta ora, bevi il tuo succo di more e pensa solo a riposarti"
"Ma io non ho proprio sonno, mamma. Non è che potresti raccontarmi una storia o, almeno, farmi compagnia finchè non mi sarò addormentato?"

Continuò il piccolo, questa volta dal tono decisamente preoccupato e triste. La madre si avvicinò a lui, gli strinse le braccia al collo e gli sussurrò amorevolmente all'orecchio:

"Devi vincere le tue paure, Pavel. Cosa direbbe tuo padre, se fosse ancora vivo e sapesse che il suo grande eroe ha paura di soffiare e spegnere una candela? Ricordi le virtù che Silmweren ti ha insegnato, affinchè tu possa diventare un principe amato e rispettato?"
"Coraggio, clemenza e ascolto" rispose a macchinetta il piccolo, portando anche lui le braccia intorno al collo della madre.

Silmweren era il maestro e precettore di Pavel, un uomo colto e paziente ma considerato allo stesso tempo noioso e fastidioso. Egli non solo istruiva il principino, ma lo aiutava, lo supportava in ogni difficoltà e giocava spesso con lui, per quanto potesse farlo un vecchio di 80 anni con uno di a mala pena 5.

Pavel si staccò dalla madre e la guardò allontanarsi, ma quando ella pose mano alla maniglia della porta ebbe un attimo di ripensamento.
“Mamma…” disse, alzando le coperte fino al collo quasi come per prepararsi – se le cose si fossero messe male – a proteggersi da qualcosa. Ailina sorrise e – con rassegnazione – si sedette nuovamente accanto al suo piccolo.
“La mamma ha tanto da fare e perciò non può raccontarti alcuna storia. Ma se ti può servire, Pavel, se una qualche creatura della notte dovesse aggredirti nel sonno ci sarà sempre gente pronta a proteggerti. Io, Silmweren, Sir Ravis e tutti gli altri”.
Il piccolo venne un poco rassicurato, ma ancora era incerto a coricarsi.
“Ehi” lo incitò amorevolmente Ailina, ma non vedendo alcun risultato si alzò in piedi e prese – da uno scaffale coi pupazzi – un piccolo carillon. Esso era complessivamente di colore blu cielo, ma le estremità su cui poggiava e i perni erano in acciaio dorato; su di esso erano disegnati – a mo di decorazione – dei giovani fanciulli seduti attorno a un grosso albero, mentre all’apice di esso vi era scolpita una giovane fanciulla tenente in mano un canestro su cui fiori e frutti – appena colti – erano sparpagliati e amalgamati assieme.
L’aveva fabbricato messer Aabam in occasione del compimento del terzo anno di età del principino. La madre lo trovava di dubbio gusto, ma Pavel lo adorava, così che quel pezzo di artigianato non era finito in una cesta dei rifiuti, in cui sarebbe presto stato gettato e dimenticato come un qualsiasi avanzo del giorno prima o un capo di vestiario non più indossato. Ailina attivò il meccanismo e una dolce melodia si soffuse in tutta la stanza.

“Ricordati questo, piccolo mio. Anche se tu dovessi cadere nelle tenebre più fitte e nel più sconcertante mondo dell’irrazionalità al punto che nemmeno noi saremmo in grado di raggiungerti, sappi che questa melodia non ti abbandonerà mai e ti difenderà da ogni spirito maligno che cercherà di strappare il tuo cuore”. Una menzogna bella e buona, visto che quello strumento – pacchiano e di dubbio gusto – avrebbe a mala pena funzionato. Ma un’illusione come quella, per la mente di un giovane fanciullo, sarebbe sicuramente apparsa come vera e gli avrebbe dato la forza necessaria quantomeno per addormentarsi. E in effetti in parte funzionò, visto che diminuì drasticamente la tensione e si distese completamente. La madre lo accarezzò un’altra volta.

“Buon riposo” concluse, allontanandosi dalla stanza.
Il piccolo si alzò un secondo in piedi, bevve il suo succo di more e quindi spense la candela, per poi ritornare sotto le coperte. Ora il buio circondava tutta la stanza. L’impulso fu quello di aprire la bocca e mettersi ad urlare e chiamare la mamma, ma la musica rassicurante che ancora pervadeva la stanza lo persuase a cambiare idea. Dopotutto, la mamma aveva ragione. C’erano lei e gli altri a proteggerla. E poi i suoi amici lo avrebbero aiutato per continuare a giocare con lui. Ma soprattutto c’erano loro a sostenerlo, a venirgli incontro anche nei più grandi pericoli.
Con questo pensiero in mente si addormentò sereno. E fu il buio fu completo

[Modificato da DarkDreamer 25/02/2005 16.30]

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